I Raccontastorie – Fascicolo 14
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Nel paese di Acchiappa-Citrulli c’erano strane leggi: gli onesti ovevano stare in galera e i malandrini fuori. Pinocchio venne liberato soltanto quando dichiarò di essere un furfante e un imbroglione matricolato. Figuratevi la sua felicità: poteva finalmente rivedere il babbo; ma prima era meglio raccontare tutto alla Fata, nella casina del bosco. Pioveva a dirotto, la strada era tutta un pantano e ci si affondava fino a mezza gamba. A un tratto Pinocchio si fermò e fece quattro passi indietro per lo spavento. Disteso lungo la strada, c’era un grosso serpente, con la pelle verde e gli occhi di fuoco. Immaginatevi la sua paura: si allontanò in fretta e rimase ad aspettare. Aspettò un’ora, due e tre; ma il serpente era sempre là: anche da lontano si vedevano i suoi occhi fiammeggianti.
Allora Pinocchio, facendosi coraggio, tornò sui suoi passi e con una vocina sottile e tremante chiese al serpente: «Scusi, signor serpente, vorrebbe tirarsi un pochino da parte per farmi passare?» Fu come dire al muro. Nessuno si mosse. «Sa, non vorrei disturbarla, ma se si spostasse un tantino…» Nessuna risposta anche stavolta; anzi, il serpente chiuse gli occhi e rimase immobile e quasi irrigidito. «Che sia morto davvero?» si chiese Pinocchio fregandosi contento le mani,
e fece l’atto di scavalcarlo. Non aveva finito di alzare la gamba, che il serpente scattò come una molla. Il burattino, morto di paura, si tirò indietro, ma inciampò e cadde col capo conficcato nel fango e le gambe all’aria. A tale vista il serpente fu preso da una tale convulsione di risa, che alla fine scoppiò e morì per davvero. Pinocchio riprese a correre, per arrivare in fretta a casa della Fata, ma lungo la strada, preso dai morsi della fame, saltò in un campo con l’intenzione di cogliere un po’ d’uva. Non l’avesse mai fatto! Appena giunto sotto la vite: Crac! Si sentì stringere alle gambe da ferri taglienti, che gli fecero vedere tutte le stelle del cielo. Sopraggiunse il padrone del campo. «Ah, ladruncolo! Sei tu che mi rubi le galline!» «Io no! Io volevo solo qualche grappolo d’uva!» «Chi ruba l’uva è capace anche di rubare i polli! Adesso ti darò io una lezione!» Aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso a casa. «Siccome oggi mi è morto il cane, mi farai tu da cane da guardia! E ricordati, se stanotte vengono i ladri, abbaia a più non posso.» Sfinito e avvilito, il povero burattino con tanto di collare e catena, si rannicchiò nella cuccia del cane.
Stava dormendo saporitamente, quando fu svegliato da un pissi pissi di vocine strane. Messa fuori la punta del naso dalla cuccia, Pinocchio vide quattro faine. «Buonasera Melampo», disse una di esse. «Io non mi chiamo Melampo. Sono Pinocchio e faccio il cane da guardia per punizione.» «Bene, fa lo stesso. Propongo anche a te il patto che avevamo con Melampo: una volta la settimana ruberemo otto galline e una la daremo a te. A condizione, s’intende, che tu faccia finta di dormire e non ti venga l’estro di abbaiare. Ci siamo intesi?» «Anche fin troppo» rispose Pinocchio con intenzione.
Le quattro faine, credendosi sicure, andarono di filato nel pollaio e aperta con unghie e denti la porticina, sgusciarono dentro una dopo l’altra. Lesto come il lampo, Pinocchio richiuse la porticina e la puntellò con una grossa pietra. Poi prese ad abbaiare, proprio come se fosse un cane da, e con la voce faceva: bu Il contadino arrivò di corsa in camicia da notte, entrò nel pollaio e, viste le quattro faine, le rinchiuse in un sacco, «Ah, vi ho prese finalmente!»
E poi: «Bravo, Pinocchio, Sei stato più bravo di Melampo: per premio ti lascerò andare libero.» Ciò detto gli levò il collare da cane. Pinocchio riprese così la strada maestra. A un certo punto, guardò giù nella pianura sottostante e vide il bosco dove aveva incontrato il Gatto e la Volpe, la cima della grande quercia dove era stato impiccato; ma guarda di qua, guarda di là, non riuscì a vedere la casa della Fata dai capelli turchini. Preso allora da un triste presentimento, il burattino si precipitò nel prato dove una volta sorgeva la casina. Al suo posto c’era una piccola lapide in marmo con su scritte queste parole:
QUI GIACE LA FATA DAI CAPELLI TURCHINI MORTA DI DOLORE PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO PINOCCHIO Come rimase il povero Pinocchio, lo lascio immaginare a voi. Cadde bocconi a terra e dette in un gran scoppio di pianto. «Oh, Fatina mia, perché sei morta?
Perché non son morto io al tuo posto, che sono cattivo, mentre tu eri così buona? E il mio babbo dove sarà? Oh, Fatina, dimmi dove posso trovarlo: che non voglio. lasciarlo mai più! Mai più! Oh, Fatina, dimmi che non è vero che sei morta! Se davvero mi vuoi bene ritorna viva come prima!» E mentre si disperava a quel molo, fece l’atto di strapparsi i capelli: ma essendo di legno, non poté nemmeno levarsi il gusto di ficcarci dentro le dita. Intanto passò su per aria un grosso colombo che gli gridò: «Dimmi, bambino, che cosa fai costaggiù?» «Non lo vedi? Piango.» «Dimmi, non conosci per caso un burattino di nome Pinocchio?» «Altro che se lo conosco: sono io!» Il colombo, a quella risposta, calò velocemente a terra. «Conosci dunque anche Geppetto?» «Se lo conosco! È il mio babbo. Sai dov’è? È vivo?» «L’ho lasciato tre giorni a spiaggia del mare. Si stava fabbricando da sé una barca per attraversare l’oceano. Quel pover’uomo ti cercando dappertutto e ora spera di trovarti oltre il mare.» «Quanto c’è da qui al mare «Più di mille chilometri. «Mille chilometri… Oh potessi avere le tue ali!» «Se mi salti in groppa ti ci porto io!»
Il colombo spiccò il volo e salì tanto in alto che quasi toccava le nuvole. Giunto a quell’altezza, straordinaria, il burattino -guardò in giù e subito fu preso da un tale capogiro,— che si attaccò ancora più stretto al collo del colombo. L’uccello volò tutto il giorno e tutta la notte. La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare. Il colombo posò a terra Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi ringraziare per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì.
La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava guarddhdo il mare. «Cos’è accaduto?» domandò Pinocchio a una vecchina. «C’è una barchetta laggiù che sta per andare sott’acqua!» Pinocchio appuntò gli occhi quella _,parte e cacciò un grido. «È il Mio babbo! È il mio babbo!» Intanto la barca appariva e spariva, sbattuta dall’infuriare delle onde.
«Voglio salvare il mio babbo!» E Pinocchio si tuffò dall’alto della roccia. Il burattino, essendo di legno, galleggiava facilmente e nuotava come un pesce. Nella speranza di salvare il suo babbo, nuotò tutta la notte. Sul far del mattino approdò su un’isola in mezzo al mare, dove si riposò e fece asciugare i panni al sole. «Sapessi almeno dove sono…» A poca distanza dalla riva, passò un grosso pesce. «Signor pesce, permette una parola?» «Anche due», rispose il pesce che era un garbato delfino. «Avete visto una piccola barca con sopra il mio babbo?»
«Colla burrasca di stanotte sarà affondata.» «E il mio babbo?» «L’avrà inghiottito il pescecane, una bestia terribile: grande e grossa come una casa, con una boccaccia così larga e profonda che ci passerebbe comodamente tutto il treno della strada ferrata con la locomotiva in testa.» «Mamma mia!» gridò spaventato il burattino e si rivestì in fretta e furia. Doveva trovare il modo di salvare il suo babbo, ma prima doveva placare la farne che lo tormentava: non mangiava da ventiquattr’ore. S’inoltrò nell’interno e dopo un po’ arrivò al Paese delle Api Industriose. In quel momento passava per la strada un uomo sudato e trafelato che trascinava due carri di carbone. «Mi fareste la carità di un soldo? Mi sento morir dalla fame!» «Non un soldo, ma quattro te ne do, se mi aiuti a tirare questi carretti.»
«Mi meraviglio di voi! Mi avete preso forse per un somaro?» «Be’, allora, ragazzo mio, mangiati due fette della tua superbia e non fare indigestione!» Passò un muratore che portava un sacco di calcina sulle spalle. «Galantuomo, dareste un soldo a un povero ragazzo che sbadiglia dall’appetito?» «Vieni con me a portar calcina e invece di un soldo te ne darò cinque.» «Ma la calcina pesa…» «Se non vuoi faticare, allora divertiti a sbadigliare e buon pro ti faccia.» In meno di mezz’ora passarono altre persone e a tutte Pinocchio chiese l’elemosina, ma tutte gli risposero: «Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la strada, perché non ti cerchi un lavoro?» Finalmente passò una donna con due brocche d’acqua. «Buona donna, mi dareste una sorsata d’acqua?» La donna posò le due brocche. «Bevi pure, ragazzo mio.» Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò ad alta voce: «La sete me la son levata, potessi levarmi anche la fame!» «Se mi aiuti a portare una di queste brocche, ti darò un bel pezzo di pane.» Pinocchio guardò la brocca e non rispose né sì né no. «Insieme al pane ti darò un bel pranzetto.» Pinocchio diede un’altra occhiata alla brocca e non rispose né sì né no. «E dopo ti darò un bel confetto». A quest’ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più resistere e portò la brocca fino a casa.
«Ecco placati i morsi della tua fame!» «Non è possibile… La stessa voce… Gli stessi capelli turchini! Ma sì: sei la mia Fatina!» La Fata, vistasi riconosciuta, sorrise e lo abbracciò.
(Quali avventure vivrà ancora Pinocchio? Scoprilo sul numero 15)