I Raccontastorie – Fascicolo 22
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02 - Il tocco di Mida
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Il Re Mida se ne stava seduto in mezzo I ai suoi tesori, contando il danaro. Era circondato d’oro, perché Mida era uno degli uomini più ricchi della Grecia ed era convinto che al mondo non ci fosse nulla di meglio o di più bello dell’oro, A un tratto, dalla finestra, vide un vecchio che dormiva sotto un albero. Era Sileno, della corte di Dioniso, il Re del Vino. Mida si sentì molto onorato di avere un ospite così importante e lo festeggiò per dieci giorni, prima
di riaccompagnarlo da Dioniso, sul Monte Olimpo. Trovarono Dioniso che riposava nel suo vigneto, piluccando un grappolo d’uva. «Ti sono molto grato per la tua ospitalità, Mida» disse al Re. «Sileno è un caro e vecchio amico e tu sei stato molto gentile con lui. Chiedimi una ricompensa e l’avrai.» Mida gongolava, perché sapeva che Dioniso aveva il potere di elargire meraviglie di ogni sorta. Immediatamente il suo pensiero si rivolse all’oro. L’oro era tutto ciò che lui desiderava: oro e ancora oro. «Oh, Dioniso, fa sì che tutto ciò ch’io tocchi si trasformi in oro!» chiese.
«E sia. Ma ricordati, rimpiangerai la tua avidità. Ricordati le mie parole.» Mida, fuori di sé dalla gioia, saltò sul suo carro e tornò a casa al galoppo, per raccontare a tutti la fortuna che gli era capitata. Appena i suoi piedi toccarono il fondo della carrozza, esso si trasformò in un blocco d’oro! Mida gridò di gioia nel vedere che anche la sua tunica, il mantello e i sandali erano diventati d’oro! Quando arrivò a casa, le porte del palazzo, a un suo tocco, divennero anch’esse d’oro, e lo stesso accadde ai ciottoli del cortile, appena vi pose piede. Perfino i fiori che colse in giardino persero il colore e il profumo e
divennero d’oro massiccio, ma a Mida non importava; li avrebbe conservati per sempre nel suo forziere, più preziosi di un giardino fiorito. «Sono ricco, sono ricco! Sono l’uomo più ricco del mondo!» gridava ai suoi servi. «E vi farò diventare tutti ricchi, se lo desiderate! Posso tramutare in oro tutto il palazzo, se lo voglio!» Felice, dette una pacca affettuosa al suo cavallo. Gli zoccoli scalpitarono un’ultima volta, poi la bestia si fermò e restò immobile, come una statua d’oro! Ma ancora Re Mida non capì. Incamminandosi con lentezza verso la biblioteca — poiché i suoi abiti d’oro si erano fatti pesanti — sfiorò
gli scaffali e i papiri, che immediatamente diventarono d’oro. «Portatemi da mangiare» disse a un servo, ridacchiando. Quando il servo tornò col cibo e vide tutto trasformato in oro, le mattonelle, le colonne, le pitture, rimase a bocca aperta. Posò il cibo davanti al Re, insieme a una vaschetta d’acqua per lavarsi le mani. Ma appena il Re toccò l’acqua, questa si tramutò in un pezzo d’oro. Mida, sgomento, provò a sollevare piano piano un pezzo di pane: istantaneamente si trovò davanti un pezzo d’oro; e quando volle bere il vino, divenne un blocco d’oro dentro la caraffa. Mida si aggrappò disperato al braccio del servo. «Cosa posso fare? Non posso né mangiare né bere!» Ma il servo non rispose, rimase lì fermo come una statua, fissando Mida con i suoi duri occhi d’oro. «Padre! Padre! Fa’ diventare d’oro
il mio giocattolo!» «E il mio piattino e il mio cucchiaio!» I figlioletti del Re irruppero nella stanza e gli corsero incontro a braccia spalancate. Mida cercò di fermarli, ma essi lo abbracciarono e furono tramutati in due pezzi d’oro anche loro! Re Mida finalmente pianse. E mentre le lacrime gli sgorgavano dagli occhi — tink, tink, ti-ti-tink — cadevano al suolo, trasformate in gocce d’oro.
Curvo sotto il peso dei suoi abiti d’oro, Re Mida tornò ai vigneti di Dioniso sul Monte Olimpo. Desiderava solo essere liberato dal suo tocco magico. E che voglia aveva di mangiare quei lucidi grappoli purpurei che pendevano dalle viti! Ma sapeva che era impossibile.
«E allora, Mida?» disse una voce forte in tono di scherno. «Hai abbastanza oro per soddisfare la tua cupidigia?» «Odio la vista dell’oro», si lamentò Mida disperato. «Oh, perché hai esaudito il mio stupido desiderio? Non posso più mangiare, né bere e i miei poveri figli sono stati tramutati in due statue d’oro! Ti prego, Dioniso, liberami da questa terribile maledizione!» Dioniso rise ancora, vedendo il cambiamento che si era operato in Mida in un solo, breve giorno, ma ebbe pietà di lui. «Vai al fiume e lavati dalla testa ai piedi!» comandò. Mida si avvicinò al fiume, ma esitava. Forse che l’acqua fangosa si sarebbe tramutata in oro, soffocandolo? Lentamente si chinò e raccolse un po’ d’acqua in una mano.
Alzando poi la mano sopra la testa, si fece scorrere l’acqua sui capelli e lungo il corpo dorato. A poco a poco, rivoletti d’oro scivolarono nel fiume e si inabissarono sul fondo. Allora Mida cominciò freneticamente a gettarsi l’acqua addosso, finché tutto l’oro scomparve dal suo corpo. Quando infine passò le mani sull’erba che cresceva lungo le rive del fiume, vide che non si trasformò in oro, ma rimase erba. Lì accanto c’era una grossa anfora; la prese, la riempì d’acqua e si precipitò verso il suo palazzo. Per prima cosa bagnò le statue d’oro che erano i suoi figli. Quando l’ebbe fatto, la bambina gli gettò le braccia al collo e lo baciò e il figlio continuò a chiacchierare come se non fosse mai stato trasformato in oro… E puoi far diventar d’oro anche la terra, e il cielo e il mare?»
«Basta, basta» li zittì Mida. «Non parlatemi più di oro. Non voglio vederlo mai più. Ora aiutatemi a portare dell’acqua dal fiume. Voglio lavare tutto il palazzo.» E così fece. Prima bagnò il suo servo, poi il cavallo, poi le pareti e i pavimenti, e infine i pilastri, gli scaffali e le porte della biblioteca. Ben presto l’unico oro rimasto nel regno di Mida era quello rinchiuso nel forziere. A parte, naturalmente, le minuscole particelle d’oro che giacciono ancora adesso sul fondo del letto del fiume.