I viaggi di Gulliver

I viaggi di Gulliver

I Raccontastorie – Fascicolo 10

Ascolta l’audiocassetta!

      01 - Bastoncello
Pag.1Pag.2Pag.3Pag.4Pag.5Pag.6Pag.7

C’era una volta un uomo che si chiamava Gulliver. Faceva il medico sulle navi e spesso viaggiava verso terre lontane. Quando salpò a bordo dell’Antilope — un vascello mercantile — non aveva idea di dove la nave l’avrebbe portato, né quali avventure lo aspettassero. Dopo molti mesi di navigazione, l’Antilope si trovò a veleggiare lungo le coste di una terra sconosciuta. Improvvisamente si scatenò un terribile uragano e il vento spinse il vascello contro gli scogli. La nave si spezzò in due e affondò. La ciurma,

terrorizzata, si gettò in mare, ma solamente Gulliver riuscì a tener testa a quelle terribili onde e a mettersi in salvo sulla spiaggia. Tutti gli altri uomini affogarono. Gulliver si trascinò penosamente fuori dall’acqua, fin sulla spiaggia, e piombò in un sonno profondo. Quando si risvegliò, non sapeva quanto avesse dormito, ma il sole era già alto. Con un gemito cercò di raddrizzarsi, ma si accorse con terrore di non riuscire a muoversi. Aveva le braccia, le gambe e i lunghi capelli legati saldamente al suolo!

Poi sentì qualcosa che gli strisciava su una gamba. Alzando penosamente ila testa per quanto gli era possibile, Gulliver vide un omino — non più grosso del suo dito mignolo — che gli camminava sul petto. Poi, con suo enorme stupore, vide almeno altre quaranta di quelle creaturine che si arrampicavano sul suo corpo da ogni parte e tutte erano armate di arco e frecce! Con un grido Gulliver tentò di liberarsi, ma aveva urlato così forte che molti di quegli omini gli caddero di dosso e gli altri fuggirono. Quando

però videro che Gulliver non riusciva a liberarsi, si fermarono e gli scoccarono contro una raffica di frecce, piccole e acute come spilli. «Ahi! Ahi!» gridò Gulliver quando le frecce lo raggiunsero al viso.


E poi un’altra raffica lo colse sul petto e sulle mani. Contorcendosi dal dolore e dibattendosi, Gulliver tentava disperatamente di liberarsi dalle migliaia di fili che lo trattenevano. Ma era inutile: i legacci erano troppo robusti. Alla fine, Gulliver si arrese. Rimase sdraiato tranquillamente per terra e a poco a poco si riaddormentò. Fu svegliato da un martellio insistente. Girò la testa quel poco che poteva e vide che lì accanto era stato eretto un piccolo palco, sul quale si stava arrampicando un uomo vestito da cerimonia.

«Colosala seleili velenulutolo ala falarele quluili ala Lilliput», gridò l’uomo all’orecchio di Gulliver. «Non capisco» disse Gulliver, «avete detto che il vostro paese si chiama Lilliput?» Gulliver cercò di far capire all’omino che aveva fame e sete. Ma la bevanda che gli fu portata era drogata! Mentre dormiva, cinquecento, tra falegnami e ingegneri, costruirono un basso carro di legno per caricarlo e portarlo dall’Imperatore di Lilliput. Ci vollero. novecento uomini dotati di leve per issarlo sul carro e più di mille cavalli per trascinarlo in città!


La processione si fermò alle porte della città, in prossimità delle rovine di un tempio antico. Qui, gli uomini presero Gulliver e gli assicurarono alle gambe delle pesanti catene, chiuse da centinaia di lucchetti. Quando si svegliò dal profondo sonno, Gulliver si accorse che le corde che lo legavano erano state tagliate. Lentamente si alzò in piedi e si guardò attorno. Con grande meraviglia vide che sotto di lui si stendeva un’intera città in miniatura, con case, strade e giardini, e tutto intorno erano radunati centinaia di piccoli esseri che lo fissavano a bocca aperta. Separato dalla folla, scalpitava un magnifico cavallino montato orgogliosamente dall’Imperatore. Più alto e più bello di tutta la gente che Gulliver aveva visto finora, l’Imperatore di Lilliput portava un elmo d’oro, incastonato di gemme e decorato da una lunga piuma. La sua mano stringeva una spada grande quasi come lui, con l’elsa tempestata di diamanti.

Il cavallo nitrì di terrore alla vista di Gulliver e allora l’Imperatore smontò e fece pomposamente il giro dell’enorme piede del suo enorme ospite. Vicino al tempio si ergeva un’alta torre. Grande quasi quanto Gulliver stesso, era di gran lunga l’edificio più alto di Lilliput. L’Imperatore e i suoi cortigiani vi salirono per potere osservare meglio il gigante. Gli parlarono attraverso

dei megafoni, ma sebbene Gulliver si sforzasse di esprimersi in inglese, in tedesco, in spagnolo e in italiano, non capivano una parola di quello che lui diceva, e lui non capiva un’acca

di quello che dicevano loro. L’Imperatore discese dalla torre e batté le mani. Immediatamente venti carri pieni fino all’orlo di carne e pane vennero offerti al gigante.

Guardando giù verso la folla, Gulliver distinse le dame di corte, riccamente abbigliate. Esse gli fecero un inchino, facendo brillare al sole i loro mantelli di raso e gli strascichi argentati. Erano tutte così carine, che a Gulliver venne voglia di prenderne una in mano per poter osservare meglio da vicino i suoi abiti da bambola, ma era troppo beneducato per azzardarsi a farlo. Le dame di corte rabbrividirono nei loro bei vestiti quando videro che Gulliver trangugiava un carro di cibo dopo l’altro; e quando ingollò barili

interi di vino, alcune di esse svennero addirittura. Infine la visita reale ebbe termine e Gulliver venne lasciato solo nel tempio, solo, ad eccezione delle centinaia di soldatini lasciati a guardia. Ma non tutti a Lilliput erano contenti per la vicinanza del gigante incatenato. Quella notte un gruppo di sei uomini armati di frecce, lance e coltelli, aggredì Gulliver.. In un attimo, le guardie del corpo dell’Imperatore li circondarono, legando loro Fe mani dietro la schiena.

Il capitano delle guardie pungolò gli aggressori con il manico della sua picca acuminata e li spinse accanto a Gulliver. «Hanno cercato di ucciderti, gigante», pareva che volesse dire, «li lascio in mano tua!» Gulliver afferrò gli aggressori con una mano e se ne infilò cinque in tasca. Alzò il sesto all’altezza della bocca aperta come per inghiottirlo, mentre l’ornino strepitava e urlava dal terrore. Ma Gulliver era veramente molto gentile. Depose l’aggressore al suolo e poi anche gli altri cinque. Veloci come il lampo, corsero via con tutta la forza delle loro gambette. I soldati furono stupefatti dalla generosità di Gulliver verso gli uomini che aveva o tentato di ucciderlo.

Corsero a corte per informare l’Imperatore, che trovarono in riunione con i Ministri di Stato, per decidere il da farsi circa lo straordinario gigante naufragato a Lilliput. «Elevilidelentelemelentele èlè ulun giligalantele alamilicolo nolon alabbilialamolo nilielentele dala telemelerele.» Ma intanto Gulliver, incatenato nel tempio, si sentiva molto solo e desiderava ardentemente poter fuggire e tornare da sua moglie e dai suoi figli.

(Nel fascicolo 11 scoprirete cosa capitò a Gulliver dopo aver combattuto per Lilliput)