I Raccontastorie – Fascicolo 15
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Pinocchio, dopo aver festeggiato il ritrovamento della fata, espresse un desiderio: «Vorrei crescere un po’. Non lo vedete? Son alto come un soldo di cacio.» «Tu non puoi crescere» replicò la fata. «I burattini non crescono mai.» «Oh, son stufo di fare il burattino! Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo!». «Lo diventerai se saprai meritartelo: asta che ti comporti come un ragazzino perbene.» Pinocchio, a malincuore, dovette ammettere di non essere proprio uno stinco di santo, quindi promise solennemente alla fata che d’ora innanzi si sarebbe comportato come un bravo ragazzo. Il giorno dopo si recò alla scuola comunale. Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare in classe un burattino! Chi gli faceva uno scherzo,
chi un altro: chi gli levava il berretto, e chi tentava perfino di legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare. Per un poco Pinocchio portò pazienza, poi cominciò a reagire con pedate e gomitate a destra e a manca. Essendo piuttosto duretto, cioè di legno, Pinocchio fece in fretta a essere rispettato e in breve conquistò la stima di tutti i compagni di scuola, compresi molti monellacci, famosi per la loro poca voglia di studiare.
Un giorno, nonostante gli avvertimenti del maestro e della fata, Pinocchio si fece convincere da questi monelli a marinare la scuola per andare a vedere il pescecane alla spiag Appena arrivato, Pinocchio dette subito una grande occhiata al mare, ma non vide nessun pescecane «O il pescecane dov’è?» domandò voltandosi ai compagni. «Sarà andato a far colazione», rispose uno di loro ridendo. «O forse si sarà appisolato nel letto!» Da queste risposte sconclusionate, Pinocchio capì che gli avevano giocato un brutto tiro e s’infuriò: in breve si passò ai fatti. Ma Pinocchio era sempre duro, e il legno faceva sempre male; allora i ragazzi presero a lanciargli addosso
i libri di scuola e, quando furono senza, acchiapparono un grosso “Trattato di aritmetica” di Pinoccho e scagliarono anche quello. Ma invece di cogliere il burattino, il librone colpì alla testa un compagno, che si accasciò a terra, bianco come un panno lavato. I ragazzi spaventati se la diedero a gambe, ma Pinocchio rimase con lui per soccorrerlo. A un tratto sentì un rumore sordo di passi. Si voltò: erano due carabinieri con un cane mastino. «Chi è che l’ha ferito?» chiesero i gendarmi, vedendo il ragazzo disteso per, terra. «Io no» balbettò Pinocchio. «E questo libro di chi è?» «Mio.» «Basta così. Vieni via con noi.» «Ma io…» «Via con noi.» E lo trascinarono via. Il burattino era fuori di sé per la disperazione. «Che sarà di -me? Che sarà di me..?» continuava a ripetersi.
Erano quasi arrivati in paese, quando una folata di vento gli levò di testa il berretto. Con la scusa di rincorrerlo, Pinocchio cominciò a correre di gran carriera verso la spiaggia. I carabinieri gli aizzarono dietro il cane mastino che aveva vinto il primo premio in tutte le corse dei cani. Pinocchio correva veloce e il cane più di lui: tanto che stava per raggiungerlo. Arrivato alla spiaggia, il burattino spiccò un salto e si tuffò. Alidoro, così si chiamava il cane, trascinato dall’impeto lo seguì, ma il poveretto non sapeva nuotare e, dibattendosi freneticamente, stava per annegare. «Aiut000… glù, glù… aiutooo!» Pinocchio, dopo qualche tentennamento, trascinato dalla sua generosità, raggiunse Alidoro e lo trasse in salvo. Ma, non fidandosi troppo, stimò cosa prudente rituffarsi in mare.
«Addio, Alidoro; fai buon viaggio e tanti saluti a casa.» «Addio, Pinocchio», rispose il cane, «e mille grazie per avermi salvato.» Pinocchio seguitò a nuotare, tenendosi sempre vicino alla terra e finalmente vide tra gli scogli una specie di grotta dalla quale usciva un lunghissimo pennacchio di fumo. Il burattino si avvicinò alla scogliera, ma quando fu lì per arrampicarsi, sentì qualcosa sotto l’acqua che saliva, e lo portava su. Tentò di sfuggire, ma non fece in tempo: con sua gran meraviglia, si trovò intrappolato in una grossa rete in mezzo a un brulichìo di pesci d’ogni forma e grandezza. Al tempo stesso vide uscire dalla grotta un pescatore così brutto, ma tanto brutto che pareva un mostro marino. I capelli erano un cespuglio
foltissimo d’erba verde, verde era la pelle del suo corpo, verdi gli occhi, verde la lunga barba. Pareva un grosso ramarro ritto sui piedi di dietro. Appena ritirate le reti, il pescatore esclamò tutto contento: «Ah, che scorpacciata mi farò!»
«Meno male che non sono un pesce!» disse Pinocchio tra sé, ripigliando coraggio. La rete venne portata dentro la grotta buia e affumicata in mezzo alla quale friggeva una gran padella d’olio. «Ora vediamo che pesci ho preso!» disse il pescatore. «Mmm… buone queste triglie! Deliziosi questi naselli! Squisite queste sogliole! Ma…» E il pescatore verde sgranò i suoi occhioni verdi: «Che razza di pesce è questo?» «Non sono un pesce: sono un burattino!» «Un burattino? Devi essere d’una specie ben rara; e per di più parli! In segno di stima, a te l’onore di scegliere come devi essere cucinato!» «A dir il vero, preferirei casa mia alla padella.» «Scherzi? Non capita mica tutti i giorni un pesce-burattino in questi mari.
Ti friggerò in padella assieme agli altri, così starai in compagnia.» Per fortuna, però, sul più bello della frittura capitò da quelle parti Alidoro, attirato dall’odorino che veniva dalla padella. «Pussa via!» gridò minaccioso il pescatore. «Aiuto, Alidoro! Salvami se no son fritto.» Il cane riconobbe subito la voce di Pinocchio e, spiccato un gran balzo, afferrò delicatamente tra i denti il burattino tutto infarinato e via dalla grotta, via come un baleno.
«Quanto ti debbo ringraziare!» esclamò il burattino finalmente in salvo. «Non c’è di che: tu salvasti me, e quel che è fatto, è reso.» Con una stretta di zampa e di mano venne suggellata la loro amicizia; e si lasciarono. In paese Pinocchio apprese con sollievo che il ragazzo colpito dal suo libro era sano e salvo ed era tornato a casa dai genitori. Il burattino si avviò allora verso la casa della fata, ma lungo la strada non si sentiva molto tranquillo. «Come farò a presentarmi alla mia buona fata? Vorrà perdonarmi quest’altra birichinata?» Arrivato davanti alla porta di casa fece per bussare ma gliene mancò il coraggio. Dopo aver esitato a lungo, prese tremando il battente di ferro in mano e bussò un piccolo colpetto. Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora s’affacciò
a una finestra una grossa lumaca con un lume acceso sul capo. «Chi è a quest’ora?» «La fata è in casa?» domandò il burattino. «La fata dorme e non vuol essere svegliata; ma tu chi sei?» «Pinocchio, il burattino che sta in casa con la fata.» «Ah, ho capito. Aspettami che ora scendo e ti apro subito.»
«Spicciatevi, per carità.» «Ragazzo mio, io sono una lumaca, e le lumache non hanno mai fretta.» Passò un’ora, ne passarono due, la porta non si apriva. Per cui Pinocchio, he non ne poteva più, bussò una seconda volta, più forte. La lumaca aprì a finestra del piano di sotto. «Ragazzo mio» gli disse la bestiola utta pace e flemma, «io sono una lumaca le lumache non hanno mai fretta.» E la, finestra’ si richiuse. Di lì a poco suonò la mezzanotte, • poi il tocco, poi le due, e la porta era sempre chiusa. Allora Pinocchio, spazientito, bussò fino a far rintronare tutta la casa. Nessuna risposta.
Sempre più furioso, prese la porta a calci, finché, per sua sventura, un piede rimase conficcato nel legno della porta, ‘come un chiodo ribattuto. E così il povero Pinocchio dovette passar tutta la notte con un piede in terra e quell’altro per aria. Sul far del giorno, finalmente la porta si aprì. La lumaca, a far quattro piani di scale, ci aveva messo nove ore: quasi un primato per lei!
«Oh, lumachina, portatemi almeno da mangiare, che sono sfinito.» «Subito!» disse la lumaca. Difatti, dopo tre ore e mezzo, Pinocchio la vide tornare con un vassoio d’argento in capo con sopra ogni ben di Dio. A tale vista, il burattino sentì consolarsi tutto, ma con suo gran disinganno si accorse che il pane era di gesso, il pollo di cartone e la frutta di alabastro. Pinocchio, per il gran dolore e la gran languidezza di stomaco, cadde a terra svenuto. Quando si riebbe, si trovò disteso su un sofà, con la fata accanto a lui. «Anche per questa ulta ti perdono», gli disse la fata, «ma guai se me ne fai un’altra delle tue!» Pinocchio promise che avrebbe studiato e si sarebbe
comportato bene. E mantenne la parola per tutto l’anno, tanto da risultare agli esami finali il migliore della classe. La fata fu molto lieta di annunciargli: «Domani finirai di essere un burattino di legno e diventerai un ragazzo perbene!» Chi non ha veduto la gioia di Pinocchio, a questa notizia tanto sospirata, non potrà mai figurarsela. Felice da scoppiare di gioia si preparava a festeggiare l’avvenimento con i suoi amici, ma… disgraziatamente, nella vita dei burattini, c’è sempre un ma che sciupa ogni cosa.
(Sul prossimo numero Pinocchio continua la sua avventura e va nel Paese dei Balocchi)