I Raccontastorie – Fascicolo 16
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01 - La grande occasione di Memo
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Memo desiderava essere diverso da come era. Voleva essere più grande e più forte… come Robi lo Scuro. Robi lo Scuro era il capo della banda, soprannominato così perché aveva capelli nerissimi e la pelle sempre abbronzata. Organizzava le partite di calcio, sapeva dove c’erano delle vecchie case vuote da esplorare o come scalare i muri di misteriosi giardini abbandonati. E riusciva sempre a fare ridere i grandi quando erano arrabbiati con lui. Ma Memo aveva solo sei anni. Non era capace di scalare i muri, i palloni gli sfrecciavano accanto senza che lui li potesse acchiappare e i grandi lo terrorizzavano. «Ehi, venite, ragazzi. Non ci son macchine in giro, facciamo una partita.» Memo sentiva Robi chiamare i ragazzi della banda. «Dai, Memo, vieni fuori anche tu!» Ma lui scuoteva la testa, confuso: aveva paura di quel grosso pallone e anche degli altri ragazzi, Quando Robi lo chiamava, gli altri gli facevano eco con un ritornello odioso. «Vieni Memo, scemo, scemo, Memo. Dai, Memo, scemo, scemo, Memo!» Un giorno, mentre Memo stava come al solito desiderando di essere come Robi lo Scuro, si accorse che gli altri ragazzi della banda stavano architettando qualcosa: bisbigliavano tra loro e progettavano di andare al N. 40.
Memo restò di sasso: il N. 40 era una casa da ristrutturare e i muratori, degli omoni polverosi, dalla voce tonante, avevano proibito ai ragazzi di avvicinarsi ai macchinari, ai cumuli di sabbia e alle carriole.
Ma siccome quel giorno i muratori non c’erano, la banda aveva organizzato un’incursione al N. 40, per giocare nelle stanze vuote. Memo si nascose dietro un’automobile e rimase a guardarli. Procedevano velocemente lungo la strada, poi salirono gli scalini e scomparvero dentro la porta del N. 40. Memo non avrebbe mai creduto che potessero osare tanto. Si avvicinò anche lui furtivamente e li sentì ridacchiare e bisbigliare, mentre esploravano e stanze sul davanti. Poi ci fu un lungo silenzio seguito da uno strillo acuto. Memo si fermò impietrito dietro a un cumulo di sabbia e vide tutta la banda precipitarsi fuori dal N. 40. Lo Smilzo, il Rosso, Pié Veloce e Jack Polpetta, tutti correvano per la strada con un’espressione spaventata sul volto. Ma dov’era lo Scuro? Perché lui non usciva? Chi aveva gridato? Memo decise che doveva fare qualcosa, ma era terrorizzato.
Tremando, salì gli scalini del N. 40 ed entrò. Si trovò davanti a un ammasso di pareti diroccate polverose e di fili elettrici che penzolavano dal soffitto. Ad un tratto udì un lamento, un suono strano, profondo… Si fermò di botto, in ascolto. Il gemito si fece sentire di nuovo, e questa volta molto più distinto. «Aiuto! Mamma! Babbo! Aiuto!» Era Robi lo Scuro ed era nei guai. Memo tentò di chiamarlo, ma gli uscì di bocca solo un gridolino strozzato. Il lamento proveniva dal basso, e infatti poco dopo Memo vide che nel pavimento di legno del corridoio c’era un grosso buco dai bordi frastagliati. «Robi! Sei lì dentro?» «Memo, fammi uscire di qui.» Incredibile! Robi il duro, Robi il forte stava piangendo! «Scuro, che è successo?»
«Ascolta Memo, oooh» gemette Robi. «Mi sono fatto male. Fai presto, aiutami.» Memo fu preso dal panico. Che cosa poteva fare? «Oooh, Memo, presto. Dove sono lo Smilzo e gli altri?» «Sono scappati, ma ci sono io qui ad aiutarti.» «Memo, ascolta bene. Il pavimento ha ceduto e io sono caduto in questo grosso buco nero.» Lo Scuro stava piangendo di nuovo. «Mi sono fatto male a una gamba, Memo. Vai a chiamare mio padre.» Memo strisciò sulla pancia lungo il pavimento e guardò dentro il buco. La sagoma di Robi si distingueva appena. «Scuro, sei troppo scuro, non riesco quasi a vederti!» esclamò Memo. «Piantala di scherzare, Memo, e tirati indietro. Non voglio che cada anche tu qui dentro. Vai a chiamare mio padre, hai capito? Vai! Presto!» «Sei sicuro Scuro? Potrei saltare dentro il buco e farti compagnia,» «Memo, non fare lo scemo, vai a chiamare papà.»
«Va bene, va bene. Tu sta’ lì tranquillo. Non preoccuparti, Scuro, ti tireremo fuori.» Memo corse a perdifiato a casa dello Scuro, Gli sembrava di non arrivare mai, Bussò forte alla porta e suonò anche il campanello. Ed ecco il padre di Robi, enorme, terrificante come tutti i grandi. «Presto signore, presto! Suo figlio si è fatto male. È caduto in un buco!» E naturalmente, come tutti i grandi, anche il padre dello Scuro non capiva niente. Continuava a fare domande stupide, dove, come, perché… ma che dici ragazzino? «Presto, presto, al N. 40, sa, dove sono i muratori? Bisogna tirarlo fuori!> Quando infine capì, il padre dello Scuro si precipitò al N. 40 con una c o.
Chiese a Memo di tener a sul bordo frastagliato del buco, poi si calò dentro e in pochi istanti tirò fuori suo figlio. La coperta impedì allo Scuro di ferirsi con le schegge del legno spezzato e Memo l’avvolse intorno alle spalle dell’amico mentre il padre usciva a sua volta dal buco. Robi si era fratturato una caviglia e dovette essere trasportato all’ospedale. La mamma dello Scuro dette a Memo un’enorme fetta di torta e gli fece un sacco di complimenti ed il suo coraggio e la sua bontà. Memo divenne così il miglior amico i Robi lo Scuro e questo, all’interno ella banda, voleva dire essere quasi importanti come lui. Da quel giorno, lo Smilzo, il Rosso e gli altri non si sognarono di cantare mai più quello stupido ritornello «Memo, scemo, emo, Memo…»