I Raccontastorie – Fascicolo 2
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Mentre trotterellava lungo la strada polverosa, Gobbolino si chiedeva quali nuove avventure lo aspettassero. Da piccolo era stato il gatto di una strega. Appena ieri era un gatto di casa. E ora, gli toccava cercarsi una nuova sistemazione. Verso sera, giunse a una città piena di traffico. Le luci delle finestre sembravano ammiccanti occhi gialli. In quasi tutte le case un bel fuoco scoppiettava nel camino e dozzine di gatti ben pasciuti sonnecchiavano sotto le seggiole. Ma Gobbolino non era di nessuno… e nessuno era di Gobbolino… Saltò su un davanzale e curiosò dentro. Nella stanza c’erano dodici grandi gabbie. E in ogni gabbia, seduto
su un cuscino di velluto azzurro, c’era un gatto. Un vecchietto stava affettando dei succulenti pezzetti di carne e li sistemava su dodici piattini azzurri. Il manto dei gatti era lucido, i loro occhi brillanti e i loro baffi puliti. Gobbolino sentiva le loro fusa anche attraverso il vetro della finestra. «Sembrano contentissimi e ben curati», pensò. «Ma sicuramente uno che ha già tanti gatti, non ne vorrà mica un altro!» Un minuto dopo la porta si aprì e una voce chiamò: «Micio, micio, bel micino! Vieni qui!» «Oh! Sta chiamando proprio me!» Il vecchietto prese in braccio
Gobbolino, lo mise in una gabbia vuota e gli servì un piatto di carne. Dopo un pò Gobbolino attaccò discorso con il vicino di gabbia: «Che ci facciamo qui dentro?» «Non lo sai?» ridacchiò l’altro. «Ora, anche tu sei un gatto da esposizione.» Il mattino seguente il vecchio venne a spazzolare e a pettinare tutti i gatti, e rimase un po’ sorpreso a vedere le scintille colorate sprigionarsi dal manto di Gobbolino e non la finiva più di lodarlo: «Che bel manto! Che bella coda! Che colori! E che splendidi occhi azzurri!» Gli altri gatti cominciarono a brontolare. «Oh, sono gelosi!» disse il vecchio mentre gli annodava un fiocco rosso al collo. «Cos’è tutta questa agitazione?» chiese Gobbolino al suo vicino. «Non lo sai?» disse l’altro con degnazione. «Domani è il giorno dell’esposizione dei gatti e noi ci andiamo.» Prima ancora di arrivare là Gobbolino udiva miagolare centinaia di gatti da esposizione: grossi, piccoli, neri, bianchi, soriani, persiani, gatti grassi, magri, gatti belli e gatti brutti… e in più tutti i gatti del vecchietto; … e con loro Gobbolino il gatto della strega, dai bellissimi occhi blu. Gli altri gatti cominciarono a mormorare. «Ma chi è quel gatto strano? L’anno
scorso non c’era.» «No, non c’era, è uno nuovo. Per dirti la verità…» Anche se Gobbolino non riusciva a sentire cosa dicevano, una specie di mormorio circolava fra le gabbie «Gobbolino! Gobbolino! Gobbolino!» I giudici passarono a esaminare tutti i gatti per scegliere quelli che avrebbero partecipato all’elezione finale. Il vecchio trotterellava da una gabbia all’altra carezzando i prescelti, promettendo loro un sacco di leccornie per cena. Poi il giudice in capo si alzò solennemente in piedi per proclamare il miglior gatto della mostra. Era Gobbolino! Ci fu un momento di silenzio, poi un brusio, poi un soffiare irato e infine un urlìo, finché un urlo solo si alzò da ogni gabbia: «Gobbolino è un gatto di strega!» E ancora e ancora lo stesso mormorio infuriato. A queste parole i giudici impallidirono. «Ma perché, ma perché sono dovuto nascere gatto di una strega?» diceva Gobbolino facendosi piccolo nella sua gabbia. «Non voglio vincere premi! Tutto quello che —– voglio è una casa in cui vivere tranquillo. Che ne sarà di me ora?»
Il vecchio fu costretto ad andarsene immediatamente con tutti i suoi gatti. Una volta fuori, aprì lo sportello della gabbia di Gobbolino e lo scaraventò in mezzo alla strada. «Miserabile creatura! Vattene! Non ti voglio più vedere, mai più!» Ammucchiò tutte le gabbie sul suo carretto e se ne andò frustando il suo magro ronzino. Gobbolino non si rattristò quando vide che si allontanava. Non aveva nessuna voglia di diventare un gatto da esposizione e vivere in una gabbia era una faccenda molto noiosa. «Sono convinto che da qualche parte c’è una casa in cui sarò il benvenuto» si consolò. Lasciandosi alle spalle la città, Gobbolino trotterellò in direzione del mare. Traversò paesi e villaggi, villette e fattorie. Ma in nessun luogo trovò un segno di benvenuto. Una volta arrivato al mare, il cuore gli balzò in petto alla vista dell’acqua scintillante e delle navi con le loro vele marroni. Si sedette sul molo osservando le navi, i gabbiani e i marinai. Ad un tratto un topo fece capolino da un mucchio di corde. Con una rapida zampata Gobbolino lo stese. «Ben fatto!» disse una voce dietro di lui. Era un giovane marinaio con un sorriso cordiale.
All’alba la tempesta infuriava ancora. Ma ora Gobbolino riuscì ad individuare un suono nuovo, la canzone della strega-marina: «La Mary Maud affonderò con ogni uomo che troverò nessun marinaio disferà le magie che la strega farà.» Un lontano ricordo colpì ad un tratto Gobbolino. Si ricordò che tanto tempo fa, mentre stava in un angolo della grotta della strega, aveva udito queste parole: «C’è un solo mezzo per spezzare l’incantesimo di una strega.
Bisogna saltare sulla sua ombra e gridare Bazzecole!» Nessuno vide il gattino arrampicarsi sulle corde della nave fino alla coffa, mentre nuvole grigie coprivano il sole impedendo alla strega-marina di proiettare la sua ombra sulla nave. Ad un tratto le nuvole si aprirono ed uno squarcio di sole illuminò il cielo. I marinai videro Gobbolino lassù per aria e udirono la sua voce. «Padrona! Padrona!» gridava nel temporale. «Non mi riconosci? Sono Gobbolino. Non lasciarmi qui ad affogare su questa miserabile nave!» La strega-marina lo udì. «Sei proprio tu? Ma che ci fai a bordo della Mary Maud?» «I marinai mi hanno preso: non potevo scappare.» «I gatti delle streghe sanno nuotare come foche!» disse la strega-marina avvicinandosi sempre di più alla nave.
«Salta in acqua e nuota. Quando la nave sarà andata a fondo ti raccoglierò sulla mia scopa e ti riporterò a casa.» «È così lontano e così profondo» singhiozzò Gobbolino. «Ho paura! Aiuto, sto cadendo!» «Va bene, va bene!» tagliò corto la strega. «Preparati a saltare sulla mia scopa quando passo.» E proprio mentre il sole cominciava a nascondersi dietro una nuvola, la strega-marina scese a capofitto. La sua ombra si posò per un istante sulla coperta della nave. Gobbolino balzò — non sulla scopa — ma proprio sull’ombra della strega, gridando con quanto fiato aveva in gola: «Bazzecole!» Con un grido di rabbia la strega-marina scomparve. «Traditore! Traditore!» gridò mentre il vento la risucchiava. Ad un tratto, una calma bonaccia scese sul mare. La Mary Maud era salva. I marinai non capivano. Tutti insieme mormoravano sul conto di Gobbolino. «Non era un gabbiano. Era una strega!»
«Lui le stava parlando. L’ho sentito!» «Ecco perché la strega ci è venuta dietro!» Così, scrutavano Gobbolino e nessuno lo prendeva più in braccio né lo accarezzava. Verso mezzogiorno il capitano venne a parlargli. «Gobbolino», disse gentilmente «ho paura che sia giunto il momento di separarci. I miei marinai rifiutano di lavorare finché tu non te ne sarai andato. Porta sfortuna avere a bordo il gatto di una strega.» Gobbolino capì e il capitano in persona lo portò a terra su una barchetta. I marinai lo salutavano da lontano, ma lui non poté sopportare la vista della Mary Maud che se ne andava senza di lui. Perciò si allontanò pensando fra sé e sé: «Pazienza, ci sarà pure qualcuno che vorrà tenere con sé il piccolo Gobbolino.»