I Raccontastorie – Fascicolo 22
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Eh, ai miei tempi ho consumato pasti alquanto strani, io! Potrei raccontarvi di un pranzo fatto in una miniera, o della cena avuta con un milionario. Ma credo che il racconto che vi piacerà di più sia quello della cena avuta una volta con un mago. Quando conobbi il signor Cadabra, non immaginavo davvero che fosse un mago. Stavo attraversando una strada affollata, un certo pomeriggio, quando vidi un ometto che, sorpassandomi di corsa, stava per essere investito da una macchina. Se non lo avessi afferrato per il bavero del cappotto, l’automobile lo avrebbe certamente travolto. Riconoscente, l’uomo volle invitarmi a cena con lui e fissammo un giorno della settimana seguente. Non notai niente di strano in lui, allora, eccetto che aveva due grosse orecchie con in cima due ciuffetti di pelo. Così, la sera fissata mi avviai all’appuntamento. Non voglio dirvi dove, perché se lo facessi, voi andreste a disturbarlo, e lui ne sarebbe molto irritato e magari vi farebbe diventare
un orecchio grosso come una foglia di cavolo, o scambierebbe il vostro piede destro con quello sinistro. Bussai a una porta dall’aspetto molto comune, ma una volta entrato, mi trovai in una delle stanze più curiose che avessi mai visto. C’erano due tavoli: uno di rame con sopra un globo di cristallo, l’altro (un solido blocco di legno) aveva tutt’attorno dei grossi buchi per infilarci le ginocchia. Davano luce due…piante, che crescevano in un vaso! Non erano lampadine elettriche, infatti ne toccai una ed era fresca e morbida.
Le pareti, invece che con la carta da parati, erano ricoperte da tende ricamate, con disegni di gente e di animali. Solo che erano ricami molto strani (lo so perché li toccai!). Finché le guardavate, le immagini restavano ferme, ma quando distoglievate lo sguardo e poi le guardavate di nuovo, erano tutte cambiate. «Senta», disse il signor Cadabra «lei non è un tipo impressi° bile, no?» «Ehm, non molto» risposi. «Benissimo allora posso chiamare
il mio cameriere. Devo però avvertirla che si tratta di un tipo un po’ strano.» Detto ciò, il signor Cadabra sbatté la punta delle orecchie contro la testa, producendo un rumore come di applausi, ma più attutito. Da un grosso vaso di rame in un angolo della stanza uscì qualcosa che lì per lì presi per un grosso serpente bagnato. Poi vidi che da una parte aveva delle ventose: era il tentacolo di un polipo! Piano piano uscì completamente dal vaso e strisciò su per la parete e lungo il soffitto, reggendosi con le ventose. Quando fu sopra il tavolo, con un tentacolo continuò a reggersi al soffitto e con gli altri sette tirò fuori da un armadio piatti, coltelli e forchette e apparecchiò la tavola. «Questo è Oliviero», disse il signor Cadabra. «È molto più bravo di un maggiordomo perché ha più braccia a disposizione. Allora, cosa le piacerebbe mangiare come primo? Può chiedere ciò che più le piace. Sformato di zucca o minestra di spinaci?» «Grazie, prenderò la minestra.» Non rimasi sorpreso vedendo che il signor Cadabra
portava un cappello a cilindro. Mi sorpresi, invece, quando se lo tolse e ne rovesciò due scodelle colme di minestra. ) «Ah, che ne direbbe di metterci un po’ di panna? Vieni qui Teresina.» Una macchina verde, grande come un coniglio, saltò fuori da una credenza. Salì sul tavolo e rimase ferma davanti al signor Cadabra che munse il suo latte dentro una lattiera d’argento (procurata da Oliviero!). La crema di latte era eccellente e la minestra mi piacque moltissimo. «Cosa desidera per secondo?» chiese ancora il signor Cadabra. «Oh, mi rimetto a lei.» «Bene, allora mangeremo del pesce alla griglia», disse lui. «E poi tacchino. Oliviero, ti prego, pesca un pesce e tu, Pompeo, preparati ad arrostirlo.» Ci fu un rumore proveniente dal caminetto e ne uscì Pompeo. Era un piccolo drago dall’aspetto allegro. Si era appena alzato dalle braci ardenti ed era incandescente. Mi fece molto piacere perciò vedere che si infilava un paio di stivali di amianto. «Pompeo, mi raccomando», ammonì il signor Cadabra. «Tieni alta la coda. Se bruci di nuovo il tappeto, ti butterò addosso dell’acqua fredda.» Poi aggiunse, a bassa voce affinché potessi udirlo solo io: «Naturalmente non lo farei mai. È una cosa molto crudele versare dell’acqua fredda su un drago!»
Così Pompeo si allontanò dondolandosi sulle zampe posteriori e tenendo ben alta la coda. Io ero così intento a osservare il draghetto che non vidi Oliviero catturare il pesce. Quando lo guardai nuovamente, stava finendo di pulirlo e lo stava gettando a Pompeo, che lo acchiappò con le zampe davanti, che ormai erano alla giusta temperatura per arrosti. Cotto a puntino Oliviero mise il pesce su un vassoio e ce lo servì caldo e sfrigolante. Il signor Cadabra mi disse: «Un drago può essere di grande utilità. Per esempio, molto meglio di un cane, per tenere a bada i ladri. Non le sembra?» «Beh, sa signor Cadabra, mi vergogno un po’, ma Pompeo è il primo drago con cui faccio conoscenza.» «Certo, che sciocco! Del resto, lei ha già indovinato che io sono un mago, no?» Intanto, a Pompeo era venuto freddo e battendo i denti, se ne ritornò tutto contento nel fuoco. Poi Oliviero servì un grosso tacchino arrosto su un gran vassoio di porcellana.
A questo punto il signor Cadabra tirò fuori di tasca un piffero e ci soffiò dentro. Subito saltarono fuori sei belle salsicce! Oliviero mandò giù della verdura, ma non so da dove
la tirasse fuori. Il condimento invece uscì dal cappello del signor Cadabra. «Mentre finiamo di mangiare, preparerò un po’ di frutta» disse il mago. Si alzò e con la sua bacchetta magica batté leggermente sugli angoli del tavolo. Immediatamente, il legno si gonfiò ai quattro angoli e si produssero delle fenditure dalle quali spuntarono dei piccoli virgulti che cominciarono a crescere. Per quando avevamo finito di mangiare il tacchino, i virgulti erano diventati degli alberelli, carichi di frutta matura e succosa. Un albero aveva dei bei frutti dorati che il mio ospite chiamò manghi. «Il luogo adatto per mangiare i manghi è la vasca da bagno» mi disse «sono frutti così sporchevoli…
Vede, hanno la buccia dura e un interno molto morbido, perciò quando si rompe la buccia, tutto il succo schizza fuori. Ma adesso io farò un piccolo incantesimo affinché lei non si sporchi.» Il mango era delizioso e più tardi il signor Cadabra me ne regalò cinque da portare a casa, solo che mi toccò mangiarli veramente nella vasca, perché lì non c’erano incantesimi. Mentre bevevamo il caffè —versato dal cappello, naturalmente —parlammo a lungo di magia, di calcio e di cani. Poi mi disposi a tornare a casa. Con due delle sue braccia Oliviero mi portò il cappotto e mi aiutò a indossarlo. «Ora la porterò a casa», disse il signor Cadabra, «ma quando lei vorrà potremo andare in India o in Cina o in qualsiasi altro bel posto, a passare il pomeriggio. Me lo faccia sapere quando ha un po’ di tempo libero. Ora si sieda su questo tappeto e chiuda gli occhi, perché potrebbe venirle un giramento di testa. Succede, quando si viaggia per la prima volta su un tappeto volante.» Montammo sul tappeto e chiusi gli occhi. Il mio amico dette al tappeto il mio indirizzo e fece sbattere le orecchie. Sentii un soffio d’aria fredda sulle guance e un leggero stordimento, poi l’aria tornò di nuovo tiepida e il signor Cadabra mi disse di riaprire gli occhi. Ero nel salotto di casa mia, all’altro capo della città! La stanza era piccola e il tappeto, non potendo posarsi del tutto, era rimasto sospeso a mezz’aria. Saltai giù e ringraziai molto il mago. «Buonanotte», disse il signor Cadabra, chinandosi per stringermi la mano. Poi fece sbattere le orecchie e il tappeto svanì. Rimasi solo nella stanza con una deliziosa sensazione di calore e ben cinque manghi in mano come prova che non avevo affatto sognato!