I Raccontastorie – Fascicolo 3
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C’era una volta un contadino chiamato Gosto che aveva acquistato un bel campo a poco prezzo. «Chissà come mai costa così poco» commentò la moglie di Gosto. «Sarà davvero un buon affare?» «Certo che sì» replicò Gosto. «È tutta terra fertile. E pensare che ora è mia! Tutta mia!» «Mia, vorrai dire!» intervenne una voce. Costo e sua moglie si voltarono e videro con stupore un omone peloso piantato a pochi metri da loro. Aveva gli occhi iniettati di sangue, il naso tondo e rosso come una barbabietola. Due orecchie carnose e appuntite spuntavano da una massa di capelli
irsuti come gli aculei di un porcospino e il volto era coperto da una barba arruffata come un cespuglio selvatico. Gli abiti sbrindellati, i pantaloni tenuti su con un pezzo di corda, e due lunghissime braccia che terminavano in due pugni grossi come rape completavano l’insieme. «Fuori dalla mia terra!» strillò, ruotando le braccia come pale da mulino. «La tua terra?» domandò Gosto. «Sì, proprio quello che ho detto. La mia terra che prima era dell’omone mio padre, prima ancora dell’omone mio nonno e che ora è solo mia.» «Ma tu stai scherzando», insisté Gosto. «Io ho pagato questa terra in contanti e ho firmato il contratto.» «Togliti dai piedi subito», berciò l’omone. «Io ero qui prima di te!» E dalla rabbia cominciò a saltare.
«Beh, ora ci sono io! E sono il proprietario» dichiarò Gosto. Rimasero lì piantati a guardarsi in cagnesco e nessuno dei due voleva cedere. A un certo punto la moglie di Gosto disse: «Forse ho trovato una soluzione. Tu Costo potresti seminare, e il signor Omone potrebbe raccogliere. E poi potreste dividere le messi.» «Per me va bene» disse l’omone. A Gosto non piaceva l’idea di fare quasi tutto il lavoro e di dover poi dar via metà del raccolto. Ma sua moglie gli fece cenno di stare zitto. «Allora signor Omone, che metà vuoi del raccolto, quella di sopra o quella di sotto?» «Come, come?» «Vuoi quella che cresce fuori dalla terra o quella che cresce sotto? O l’una o l’altra, ma deciditi una buona volta.» «Oh, io voglio le cime», chiocciò l’omone. «Voi tenetevi pure le radici.» «Affare fatto!» E si strinsero la mano. «Bene, bene» disse la moglie di Gosto mentre tornavano a ca «Tu sai cosa devi fare ora, no? Devi piantare delle patate.»
Così Gosto arò la terra
e piantò le patate, sarchiò e stette a guardare come spuntavano le pianticelle verdi. Quando arrivò l’epoca del raccolto, l’omone si presentò per ricevere la sua parte. «Ecco» disse Gosto, «le cime sono tutte tue. Graziosissime piante di patate buone a… beh, sono sicuro che tu troverai il modo di usarle.» «Imbroglione che non sei altro!» tuonò l’omone. «Truffatore, miserabile! Non è giusto! Io, io, io…» «Un patto è un patto, omone, perciò prendi le tue cime di patata e lasciami in pace.» «Vedrai!» minacciò l’omone schiumante di rabbia. «La prossima volta ti farò vedere io!» «Cosa vuoi per il prossimo raccolto, le cime o le radici?» chiese la moglie di Gosto
«Le radici, naturalmente. Tenetevele voi le cime!» sbottò e se ne andò. «Che faremo ora?» chiese Gosto. «Semineremo dell’orzo, caro. E l’omone potrà usare le radici come crede…» E così, dopo aver raccolto tutte le patate, Gosto seminò il campo a orzo. Rivoltò la terra, la bagnò e, con l’arrivo della primavera, spuntarono i primi germogli verdi. Al tempo del raccolto quando l’omone peloso venne puntuale a prendere la sua parte, il campo era un ondeggiante tappeto dorato. «Bene» disse Gosto. «Io prenderò le cime e tu puoi raccogliere le radici.» L’omaccione strillò infuriato. «Mi hai imbrogliato di nuovo, brutto omiciattolo! Io, io, io…»
«Calma, calma!» disse Gosto.
«Un patto è un patto.» «Va bene, compare Gosto, anghe questa volta hai vinto. Ma l’anno prossimo avremo entrambi le cime e le radici. E seminerai del grano. Al tempo del raccolto entrambi lo mieteremo. Tu comincerai da una parte del campo e io dall’altra, e terremo per noi quello che riusciremo a raccogliere.» Gosto guardò le lunghe braccia dell’omone e capì subito che sarebbe stato molto più veloce di lui. «Niente da fare» disse. «O ci stai, o ti dichiaro guerra all’ultimo sangue» ringhiò l’altro agitando minacciosamente le braccia pelose e battendo i piedoni. «Ma che paura!» rise Gosto. «Ti prego, non lottiamo. Non vorrei far del male a un omone!» Così serrarono il patto e l’omone se ne andò sghignazzando. Gosto raccontò tutto alla moglie. «Ha delle braccia così forti! Può mietere dieci volte più in fretta di me. Questa volta ce l’ha proprio fatta.» La moglie ci pensò un po’, poi disse: «Supponi che da una parte del campo il grano cresca con gambi più duri; allora la falce perderebbe subito l’affilatura, no?» E lo mise al corrente del suo piano. «Brava!» disse Gosto. «Meno male che l’omone non ha una moglie furba come te!»
Gosto arò la terra e seminò il grano, poi lo curò mentre cresceva alto e dorato. Un po’ prima del raccolto comprò dei sottili fili di ferro e durante la notte andò di soppiatto nella parte del campo riservata all’omone. Piantò i fili di ferro nel terreno fra le spighe di grano. Il giorno del raccolto l’omone si presentò con due enormi falci, una per mano. Gosto cominciò a mietere a una estremità del campo e l’omone dall’altra. Costo mieteva con la sua unica falce con due colpi regolari e ondulanti, e le spighe dorate cadevano ai suoi piedi. Ma l’omone tagliava, fendeva, sudava e bestemmiava e alla fine si fermò. «Da questa parte del campo ci sono delle erbacce durissime!» gridò. «Da questa parte invece nessun problema!» rispose Gosto.
L’omone era così stupido che non si accorse dei bastoncini di ferro. Affilò le due falci e continuò a menar fendenti al grano. Poi si fermò di nuovo, asciugandosi la fronte. «Non ne posso più di tagliare erbacce!» sbuffò. «Davvero? Ma che buffo. Io sono fresco come una margheritina.» L’omone provò di nuovo agitando le due falci in tutte le direzioni, ma ad ogni colpo le rovinava sempre di più. Alla fine le scaraventò per terra con rabbia. «Te la puoi tenere la tua stupida terra» urlò. «È più la fatica che il guadagno! Io, io, io…» Scavalcò una siepe e si allontanò a grandi passi per la strada polverosa. Fu così che l’omone peloso non tornò mai più a importunare Gosto e sua moglie.