I Raccontastorie – Fascicolo 4
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In una giornata gelida ma soleggiata, Narana si accinse al lungo cammino per tornare al suo villaggio. Era andata a trovare sua sorella sulle colline, e ora stava tornando a casa sulla costa, da suo marito e dai suoi figli. Narana si mise ai piedi le racchette da neve e iniziò il suo percorso attraverso la neve soffice. Ma tutt’a un tratto il tempo cambiò. Il vento si faceva sempre più forte e sollevava la neve, e la povera Narana riusciva a malapena a vedere dove stesse andando. Poi la tormenta infuriò e il vento impetuoso la gettò per terra. Rotolò da un lato all’altro, sballottata dalla tempesta fino a trovare riparo fra quelli che le sembrarono i tronchi di due grossi alberi. Finalmente la tormenta si calmò e il cielo si schiarì. Ma Narana non aveva idea di dove si trovasse. Di fronte a lei si stagliavano quattro promontori ricurvi
come le dita di una mano enorme, su cui crescevano dei cespugli scuri e spinosi. Al cader della notte, raggiunse la cima più alta e riuscì a trovare una grotta in cui ripararsi dal vento. Stanca e infelice, si accoccolò e prese sonno. Al mattino Narana camminò lungo il crinale della strana collina. Da una parte il pendio era coperto dai curiosi cespugli. Dall’altro lato era percorso da grosse striature blu come se ci fossero stati dei fiumi sotterranei. Si lasciò scivolare giù e cominciò ad arrampicarsi dall’altra parte. Camminò per ore e ogni tanto sentiva certi strani rumori gorgoglianti sotto i piedi.
«Ma che strano posto è questo», pensava. «Non ho mai visto niente di simile prima d’ora, chissà dove mi trovo.» Cammina, cammina, arrivò in una vasta pianura e in lontananza vide una grande foresta nera che sembrava toccare il cielo. Narana arrancò in quella direzione ma prima di arrivarci si imbatté in un altro bosco dove si fermò a ripararsi per la notte. Narana era stanca e affamata. Mangiò una manciata di neve
«Chi sei e cosa ci fai qui dove non viene mai nessuno?» Da principio Narana non poté spiccicare parola. Si guardò intorno, ma non riuscì a vedere nessuno. «Io… io sono Narana» disse infine rivolta verso il cielo, con la voce che le tremava di paura. «Stavo tornando a casa mia quando ho perso la strada a causa della tormenta. Chi sei tu… cosa sei tu? Uno spirito della montagna?» «No, io sono un gigante!» tuopò la voce. «Mi chiamo Kinak.
per calmare la sete, ma tutte le sue provviste di cibo erano andate perdute nella tormenta. Aveva appena iniziato a camminare verso la grande foresta nera, quando sentì il terreno muoversi e tremare sotto i piedi. Bum, bum, bum, faceva con battiti regolari. «È un terremoto!» pensò. «La terra si aprirà e mi inghiottirà…» All’improvviso, l’aria fu invasa da un rumore forte come un tuono:
Dormo qui solitario nella grande piana per potermi stiracchiare senza schiacciare i villaggi o gli alberi.» «Ma dove sei?» chiese Narana continuando a guardarsi intorno. «Sono sotto di te, Narana. Mi stai scaldando da due giorni. Hai cominciato dalla mia mano sinistra e ora sei sopra il mio cuore. Immagino che lo sentirai.» «Sì, sì lo sento. Oh, spero di non averti fatto male.» La terra tremò di nuovo anche più violentemente di prima, e Narana venne scaraventata di qua e di là, mentre la risata del gigante risuonava lontano per miglia e miglia attraverso le vallate. «No, piccolina, non mi hai fatto male. Nemmeno il solletico. I branchi di renne mi danno un po’ fastidio, ma un umano è niente per me.» Il gigante ridacchiò e di nuovo Narana ruzzolò nella neve. «Ti ho vista per la prima volta quando ti eri accoccolata fra il mio pollice e l’indice; poi ti sei arrampicata sulla mia mano, sul polso, su per il braccio fino allo stomaco. Quella che vedi davanti a te è la mia barba. a ora non riesco a vederti bene a meno che non alzi la testa e la chini. Vuoi arrampicarti sulla mia faccia?»
Ci volle un sacco di tempo perché Narana si arrampicasse fino alla faccia di Kinak. Per non addentrarsi nella foresta della sua barba, pensò di procedere lungo il collo e di scalare l’ orecchio. «Faresti meglio ad andare dritta fino alla punta del naso. Non vorrei inghiottirti per sbaglio.» Narana chiese al gigante di bisbigliare perché la sua voce era spaventosamente forte per lei.
Malgrado ciò, quando lui parlò, cadde tramortita. Invece lei per farsi sentire doveva gridare.
«Devo andarmene, Kinak» i se. «Sono già in ritardo di due giorni e la mia famiglia rà terribilmente in pensiero per me.» «Beh, se proprio devi andare… ma mi mancherai, Narana. A volte ci si sente molto soli quassù. Beh, almeno potrò stiracchiarmi a dovere e girarmi sul fianco. Non mi sono più mosso da quando ti ho vista per paura di schiacciarti.» «Grazie Kinak, sei stato davvero gentile» disse Narana. «Ma dove mi trovo?» «Non ha importanza piccolina. Tu dove abiti?» «Nel villaggio di Tivnu vicino al mare.» «Non è molto lontano allora. Ti soffierò fino lì.» «Che intendi dire?» «Arrampicati sul mio labbro inferiore e siediti con la schiena verso di me.» Narana fece come il gigante
le aveva detto e si sedette sul suo labbro. Sotto di lei la terra cominciò a gonfiarsi mentre Kinak prendeva fiato. Egli soffiò garbatamente e lei volò via dal suo labbro, proiettata nell’aria, girando su se stessa come un turbine. Pochi secondi dopo atterrò su un grande cumulo di neve sana e salva. Si alzò, scosse la neve dai suoi abiti e proprio di fronte a lei a pochi minuti di cammino vide il villaggio di Tivnu. Mentre Narana correva felice verso casa, le parve di sentire in lontananza come un susseguirsi di tuoni rombanti. Sembrava quasi che un gigante stesse singhiozzando.