I Raccontastorie – Fascicolo 6
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La mamma mi aveva regalato per il mio compleanno un fantastico salvadanaio a forma di porcellino. Era tondo e rosa, con su scritto MADE IN CHINA, che poi vuol dire “fatto in Cina”. L’avevo appoggiato sul davanzale della finestra in camera e ogni settimana mettevo qualche moneta nella fessura che aveva sulla schiena. Un bel giorno decisi di comprare un lettino nuovo per la casa della mia bambola. Presi il porcellino, aprii il tappo di gomma che aveva sotto la, pancia e lo scossi ben bene. Ma non venne fuori niente, nemmeno una monetina. «È vuoto!» gridai. «Sono settimane che ci metto delle monete e non ce n’è nemmeno una. Dove sono finite?» «Le ho mangiate.» «Cosa hai detto?» Quasi non credevo alle mie orecchie. «Tu mi hai dato monete e io le ho mangiate», ripeté il salvadanaio. «Ma tu parli?!» «Certo, se qualcuno mi interroga.» «Allora dimmi dove sono le mie monete.» «E tre, ti ho già detto che le ho mangiate.» «Ma non ci sono nel tuo stomaco!» «Perché le ho digerite» disse Cina. «Da dove credi che prenda le mie energie?» «Allora sei cattivo!» dissi dandogli un’altra scossa. «Voglio le mie monete! Ridammele subito.» «Non posso» disse lui arrabbiato. «Però possiamo prenderne delle altre.» «Ma dove?»
«E dove credi che crescano le monete?» disse impaziente Cina. «Nella Zecca Reale nel Palazzo del Principe dei Ricchi, no? Se vuoi ti ci porto in volo. Ma prima devi darmi da mangiare. Sto morendo di fame! E non volo a stomaco vuoto.» Andai a prendere la mia collezione di monete straniere e le introdussi nella fessura. Man mano che mangiava il porcellino s’ingrossava finché in breve mi ritrovai nella stanza un grosso porcellino rosa.
Montai sulla sua groppa e Cina decollò dalla finestra aperta. Ma volava all’indietro. «Perché voli all’indietro?» chiesi sedendomi al contrario per vedere dove stavamo andando. «La Zecca Reale è molto molto indietro» rispose. «Vuoi dire molto lontana?» «No, voglio dire molto indietro nel tempo. Per questo volo all’indietro.» Mi resi subito conto che stava dicendo la verità. L’aria si riempì di fumo, e fiori di fuoco ci scoppiavano intorno. «Ma che succede?» «Sono spari», disse Cina tranquillo. «C’è una guerra laggiù.» Cominciai a chiedermi se il porcellino non fosse un po’ matto. «Vuoi dire che potrebbero sparare addosso anche a noi?» Cina non rispose perché proprio in quel momento fummo ricoperti dai veli bianchi di un grande paracadute,
e l’uomo che penzolava lì sotto, con una giacca di pelle di pecora e grandi occhialoni, atterrò proprio sulla schiena del porcellino. «Oh, salve», esclamò il pilota. «Sono saltato perché mi hanno colpito.» In quel momento vedemmo precipitare vicino a noi il suo aereo in fiamme che si inabissò nel mare. «Spero non vi dispiaccia darmi un passaggio.» Cina grugnì, un po’ seccato. «Come mai voliamo all’indietro, vecchio mio?» chiese il pilota, che fu molto contento nell’udire che stavamo andando alla Zecca Reale. «In effetti, sono anch’io un po’ al verde» disse. «Ho lasciato il portafoglio sull’aereo.»
«Pelché polcello non gualda dove vola?» chiese il Cinese mentre si arrampicava sulla corda e ci raggiungeva in groppa al porcellino. Spiegai che stavamo volando indietro nel tempo. Tutti ammirammo l’aquilone e facemmo al Cinese un sacco di complimenti visto che erano stati proprio i Cinesi a inventare i primi aquiloni. Il nostro passeggero si rasserenò subito. «Cinesi inventato anche banconote» ci disse quando gli raccontammo che stavamo andando a cercare soldi. Cina rabbrividì. «Io non mangio mai soldi di carta», grugnì.
Continuammo a volare all’indietro oltre l’inizio del tempo, girammo a sinistra, e il Palazzo del Principe dei Ricchi ci apparve all’orizzonte. La Zecca Reale si stagliava imponente tintinnando di mille monete. Un grosso gatto reale dalla schiena inarcata faceva la guardia, ma non poteva tener testa a un porcellino volante, a un pilota da caccia, a un esploratore, a un Cinese e, naturalmente, a me.
Mentre il gatto li rincorreva in mezzo alla salvia e al timo, io sgattaiolai nella Zecca Reale e mi riempii le tasche con le monete che pendevano dalle piante. Quando Cina mi raggiunse, gli feci il pieno di monetine e poi salimmo tutti a bordo per il viaggio di ritorno. Questa volta volavamo in avanti, naturalmente, e il porcellino filava con le orecchie svolazzanti nel vento. Ma,
con quattro passeggeri sulla groppa, Cina presto si stancò e gli venne fame. «Ancora monete, ancora monete!» grugniva, e io gli infilavo manciate di monete nella fessura. Ma dopo un po’… «Mi dispiace», disse ansimando, «qualcuno di voi deve scendere. Siete troppo pesanti per me.» «Scendo io» disse l’esploratore. «Siamo proprio in vista del mio pallone ad aria calda. Guardate là, eccolo.» Il pilota decise di unirsi
all’esploratore nel suo viaggio intorno al mondo e il Cinese si lasciò scivolare a terra sulla corda del suo aquilone. Fu così che ci ritrovammo di nuovo soli: il porcellino volante e io. Ma durante il viaggio mi toccò mettergli nella fessura tutte le monete rimaste. «Ho ancora fame», si lamentava Cina, mentre il suo stomaco vuoto brontolava. Io chiusi gli occhi e mi tenni forte in caso fossimo precipitati. Quando li riaprii, eravamo nella mia camera da letto e il porcellino giaceva per terra, piccolo e muto come al principio. Lo raccolsi e lo scossi. Niente. Guardai dentro la fessura. Nemmeno una monetina. Corsi in cucina e gridai alla mamma: «Non ci sono più i soldi nel mio porcellino-salvadanaio.» «Oh sì, cara, mi dispiace, li ho presi io per pagare il lattaio. Vediamo un po’: quanto c’era dentro? Eccoteli.»
Mi dette due banconote nuove di zecca. Le strinsi ricordandomi che Cina non mangiava mai soldi di carta, «Cosa dici mamma? Se io imparo a risparmiare…» «… Il porcellino potrà volare» rispose sorridendo la mamma, che conosceva questa vecchia storia.