Il piccolo Spettro di Villa Spettri

Il piccolo Spettro di Villa Spettri

I Raccontastorie – Fascicolo 7

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      Il piccolo spettro

 

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C’era una volta una felice famigliola di fantasmi che abitava in un bosco tenebroso, in una villa chiamata Villa Spettri. Nelle vicinanze c’erano solo poche case e una chiesa. Era il villaggio più silenzioso e solitario di tutta la regione. In famiglia erano in quattro fantasmi: Mamma Spettro, Babbo Spettro, Spettrino e la vecchia Nonna Gemito. Nonna Gemito passava il tempo sferruzzando calze di ragnatela per tutta la famiglia, mentre Mamma Spettro preparava torte di folletti maligni. Babbo Spettro, invece, dormiva tutto il giorno fino a mezzanotte, quando le civette lo svegliavano, in tempo per andare al lavoro. Allora scivolava attraverso i muri, e montando sulla sua carrozza fantasma tirata da quattro cavalli, si affrettava verso i crocicchi. E lì restava tutta la notte emettendo ululati sepolcrali e sbattendo le sue catene. Il suo cocchiere era uno scheletro senza testa,

con un cappello a cilindro e si chiamava signor Ossicini. Spettrino un giorno disse alla mamma: «Mammina, quando potrò andare anch’io con papà a lavorare? Sarebbe così divertente stare vicino ai crocicchi a ululare.»

Ma Mamma Spettro rispose: «Sei troppo giovane, caro. Non sai nemmeno ululare come si deve. E ora su, mangia la tua torta di folletto come un bravo fantasmino.» Quella sera Spettrino si sedette di fronte allo specchio in camera, nel suo bianco camicione, cercando diligentemente di ululare come un fantasma grande. Ma riusciva solo a emettere un flebile stridio. «Oh povero me, non credo che diventerò mai un vero fantasma» si disse. E decise di chiedere aiuto ai suoi amici. Il giorno dopo andò a trovare Versaccio il Gufo, che viveva nella torre della chiesa e gli raccontò tutto.

«Hm, vedo, vedo…» commentò meditabondo il gufo. «Forse io ti potrei aiutare con i miei versacci. Aspettami stasera a Villa Spettri.» Poi Spettrino chiese a Carlaccio il gatto-mostro — che era bruttissimo ma di cuore tenero — di venire a miagolare e a ululare anche lui. «Certo», disse Carlaccio «verrò. Imparerai sicuramente qualcosa dai miei tremendi miagolii.» Poi andò a cercare Montagna, il topo invisibile. Nessuno aveva mai visto Montagna, ma si sapeva sempre quando era nei pressi perché portava degli stivaletti chiodati che facevano un baccano tremendo quando correva sui cornicioni.


«Sì, verrò» disse Montagna, «e ti insegnerò il mio squittìo, lo squittìo più forte del mondo.» Quella notte, si riunirono tutti intorno al grande albero nel giardino di Villa Spettri. «Miamiauuuu» miagolava disperatamente Carlaccio, «Squiiit» faceva Montagna e «Tromp, tromp» risuonavano i suoi stivaletti. Ma il povero piccolo Spettrino riusciva solo ad emettere un buffo gorgoglìo al posto dell’urlo lancinante. Ma i suoi amici fecero tanto rumore che i vicini si svegliarono protestando. Il mattino dopo, arrivò a Villa Spettri il padrone di casa. «Questo è un posto

tranquillo», disse «non tolleriamo tutto questo baccano. Ve ne dovete andare.» E li cacciò. Così tutta la famiglia, meno Spettrino e i suoi amici che si erano nascosti in soffitta, se ne andò nella carrozza fantasma. «Ahimé» piangeva Mamma Spettro. «Cosa ne sarà del mio piccolo Spettrino tutto solo? Povero fantasmino, non sa nemmeno ululare.» Dopo pochi giorni la casa fu mostrata al signor Fifablu. «Proverò a dormirci una notte, e se mi piace, la prenderò in affitto», disse al padrone di casa. Ma non attese fino al mattino, perché si era appena seduto in poltrona quando Carlaccio il gatto-mostro si svegliò e lo graffiò.


«Aiuto!» strillava il signor Fifablu correndo fuori casa. «È un gatto vampiro!» Corse per il giardino fino al cancello e nessuno l’ha mai più visto. Il giorno dopo il padrone di casa arrivò con il signor e la signora Gambetta. «Proveremo a dormirci una notte e se ci piace, prenderemo la casa in affitto», dissero. Ma allo scoccar della mezzanotte Montagna morsicò l’alluce della signora Gambetta. «Aiuto! Aiuto!» gridarono i due Gambetta. «La casa è stregata!» E si precipitarono fuori in camicia da notte e da allora nessuno li ha più visti. Poi arrivò a Villa Spettri un uomo I grasso chiamato signor Dormasso. «Proverò a dormirci una notte, e se mi piace, prenderò la casa in affitto.» Quella sera il signor Dormasso andò a letto presto e cominciò a russare sonoramente. E russò sempre più forte, finché tutta la casa cominciò a tremare! Il povero Spettrino e i suoi amici erano molto seccati e decisero di andare a svegliarlo. Prima lo pizzicarono e gli fecero il solletico sotto i piedi.

Poi il gatto Carlaccio si nascos sotto il letto e miagolò paurosamente, mentre il topo Montagna saltava su e giù per la coperta con i suoi pesanti stivalini. Ma il signor Dormasso continuava a russare e continuò perfino quando Versaccio il gufo gli sbatté la sveglia sulla testa. In quel momento arrivarono i migliori amici di Spettrino, i fratelli pipistrelli Boris e Berta, che abitavano nel campanile della chiesa. Gli tirarono i baffi e gli arruffarono i capelli, ma nemmeno loro riuscirono a svegliarlo.

Alla fine, Spettrino andò ad aprire l’armadietto delle medicine per tappargli la bocca con un cerotto. Ma invece del cerotto gli capitò sottomano una grossa scatola di pillole con su scritto: «Pillole per urlare.» E sotto in lettere più piccole: «Cura il mal di gola dei fantasmi — prenderne una sola per volta.» Spettrino prese una pillola e subito dopo emise un cigolio. Ne prese una seconda, ed ecco uno strillo, e quando ingoiò la terza, aprì la bocca e ululò con quanto fiato aveva in gola, proprio all’orecchio del signor Dormasso. Fu il grido più lacerante che nessuno avesse mai udito a Villa Spettri. Fu così forte che fece cadere il soffitto e spaccò tutti i vetri delle finestre. Investì il signor Dormasso e lo fece volare col suo letto fuori dalla finestra, sopra gli alberi più alti e su su fino al cielo, finché alla fine atterrò sulla luna: ma il signor Dormasso continuava a russare. Poi l’urlo tornò indietro, fece ruzzolare un poliziotto dalla bicicletta e scoperchiò tutti i comignoli. Passò attraverso le finestre di Villa Spettro come un mulinello, su per le scale,

attraverso le camere da letto, di nuovo fuori da una finestra, su tutti i cornicioni, poi cadde giù nei sotterranei e non fu mai più udito, «Evviva» chiocciò Versaccio insieme agli altri. «Nessuno vorrà più dormire a Villa Spettri da oggi in poi.» E infatti fu proprio così. La famiglia Spettri poté far ritorno a casa. Quella notte, quando l’orologio batté l’una, fecero una festa per celebrare il ritorno. Ci fu un’enorme torta di folletti: maligni e vino di raggi di luna in abbondanza. E tutti ballarono. I fratelli pipistrelli svolazzavano per l’aria, Montagna il topo invisibile saltava su e giù con i suoi stivaletti chiodati,

Carlaccio il gatto miagolava e ululava. Versaccio il Gufo faceva il suo verso a più non posso e il signor Ossicini suonava un motivetto pizzicandosi le costole; Nonna Gemito teneva il tempo con i ferri da calza e brontolava felice; Mamma Spettro piangeva di gioia e Babbo Spettro ululava e sferragliava con le sue catene. Ma le urla più sonore provenivano da Spettrino che finalmente aveva imparato il mestiere. Era il fantasma più felice della terra.