I Raccontastorie – Fascicolo 8
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Fu a causa di una grossa lepre dagli occhi brillanti che Dora si allontanò dalla fattoria: stava in giardino a cogliere fiori quando all’improvviso la lepre le balzò davanti. Senza pensare, Dora la segui oltre il cancello, verso gli alberi. «Non ti allontanare troppo», l’ammonì la mamma dalla finestra della cucina. «Ci si perde facilmente, nella macchia.» Ma la lepre correva, si fermava, si voltava a guardare Dora e poi spariva di nuovo… e Dora continuava a seguirla. Poi, ad un tratto, con un gran salto la lepre svanì. Dora si guardò attorno. Gli alberi e i cespugli sembravano tutti uguali. Corse in ogni direzione, sperando di intravvedere casa sua. Ma niente da fare: si era persa nella macchia. E stava per annottare. Nascose il viso fra le mani e comincia a piangere. Quando rialzò gli occhi, un grosso Canguro grigio stava ritto a pochi passi da lei. Fisse Dora con la testa piegata da un lato, poi saltò via e tornò con una zampa piena di strane bacche colorate, che offri alla bambina.
Dora si asciugò le lacrime col vestitino, prese le bacche e le mangiò. E una strana cosa accadde. Senti tanti suoni sovrapposti, come cento voci diverse che parlassero tutte insieme. Poi ne senti una più forte e più chiara che si alzava sopra le altre. «Ho capito subito quel che ti stava accadendo», disse piano il Canguro. «Anch’io sono infelice da quando ho perso il mio piccolo cangurino. Tu hai perso qualcosa, vero?» «Beh, uhm, si», farfugliò Dora, provando la sensazione di sognare. «In realtà ho perso la strada.» «Ah!» disse il Canguro. «Mi pareva proprio che avessi perso qualcosa. E orribile, vero? Ti senti come un vuoto dentro. Dimmi com’e la tua strada. Magari l’ho vista, oppure possiamo cercarla insieme.» Dora rise e spiego che quello che lei aveva perso era il modo di tornare a casa. «Tutti cosi, voi Umani», replica il Canguro. «Avete una sola casa e per forza la perdete. Se invece faceste di ogni luogo una casa, non la perdereste mai. E poi gli uomini non dovrebbero aggirarsi nella macchia» Dora non stava ascoltando con attenzione. Pensava a quanto era affamata e a come si sentiva sperduta.
«Però», continuò il Canguro dopo una pausa, «tu sei solo un piccolo Umano. In realtà non è colpa tua e devi anche avere sete, perchè anch’io ho sempre sete al tramonto. Entra dentro la mia tasca e salteremo fino alla pozza d’acqua. Poi cercherò di aiutarti a ritrovare la strada.» E cosi Dora si alzò e si arrampicò dentro il caldo marsupio di Mamma Canguro. Si sentiva cullata in quel piacevole rifugio e stava così bene che cominciò a canterellare una canzoncina. «Che bel motivetto», disse il Canguro. «Ma uhm, ti prego smetti
di cantare ora, mi devo concentrare sulla strada.» Dora dette un’occhiata fuori e… desidero non averlo fatto. Canguro stava scendendo per una china cosparsa di enormi rocce, e non si vedeva nessun appiglio. Dora chiuse gli occhi. I1 Canguro ora avrebbe sicuramente perso l’equilibrio e sarebbero precipitati entrambi nel burrone. Ma l’animale scendeva con prudenza, finche arrivarono a un grosso masso the sovrastava la pozza d’acqua. La superficie del masso brillava
come uno specchio e rifletteva i colori del cielo: per migliaia di anni i canguri l’avevano lisciato con le loro zampe e le loro code, mentre si recavano a bere alla pozza d’acqua. L’animale stava per saltare giu dal masso, quando un piccione dalle ali color bronzo gli grido: «Canguroo-oo, attento! Gli Umani sono stati qui ieri sera e hanno ucciso dieci dei nostri. Eravamo volati giù a bere — solo un sorso —e loro erano qui ad aspettarci. Ora abbiamo troppa paura di avventurarci a bere, ma abbiamo tanta sete!» Dora, alle terribili parole del piccione, si rannicchiò nella tasca tremando di paura.
Ma il Canguro fece coraggiosamente un passo avanti, alzo il suo naso nero e fiuto l’aria. «Non si sente nessun rumore e nessun odore. Non dovrebbe esserci pericolo. Esci fuori, piccola Umana, e aspetta lì mentre io do un’occhiata.» Dora scivolo fuori dalla tasca e il coraggioso Canguro si avvicinò piano piano al bordo dell’acqua. Dora aveva paura perfino di guardare. Magari i cacciatori erano lì in agguato con le loro lance aguzze. Erano loro the facevano tremare le canne vicino all’acqua, oppure erano solo i pesci? Il Canguro chinò la testa e bevve. Subito dopo centinaia di uccelli frullarono sulle loro teste verso l’orlo della pozza, tuffando i loro becchi nell’acqua. Poi, velocemente come erano venuti, scomparvero tra i cespugli.
Dora aveva paura almeno quanto loro. Corse velocemente all’acqua, bevve tre sorsate e ritornò verso il masso dove il Canguro la stava aspettando. «Salta dentro», le disse il Canguro. «None prudente rimanere a lungo vicino alla pozza. Gli Umani conoscono tutti i nostri abbeveratoi.» Mamma Canguro saltellò via sotto un cielo costellato di stelle lucenti, con Dora accoccolata contro la calda pelliccia della sua tasca. Dopo un po’ arrivarono a una grotta e si sdraiarono una accanto all’altra sul suolo sabbioso, addormentandosi immediatamente.
Quando Dora si sveglio, il mattino seguente, ebbe subito la sensazione di essere in pericolo. E poi lo vide! Arrotolato sulla sua pancia, c’era un lungo serpente nero. E it Canguro se n’era andato! I1 cuore di Dora batteva forte. Non osava muoversi. Poi, improvvisamente, dall’esterno della grotta, risuono una stridula risata. «Non aver paura», chiocciò una voce. «Resta immobile e non ti succedere niente. Io ucciderò il serpente.» Dora voltò un pochino il capo e vide un uccello Kookaburra (sapete, un uccello il cui verso assomiglia a una risata). Il suo lungo becco aguzzo era aperto in un sogghigno, e continuava a ripetere:
«Eeh, eh, the ridere! Ah, ah, ah. Oh povero me, povero me. Che ridere! Ah, ah, ah.» «Non c’è proprio niente da ridere», pensò Dora. «Il Canguro a andato a raccogliere delle bacche per la tua colazione», spiegò il Kookaburra. «Mi ha chiesto di sorvegliarti. Ma quell’astuto serpente scivolato dentro proprio mentre stavo consultando il gufo bianco per il mio mal di pancia. Che ridere, eh? Ah, ah, ah! Che ridere!» In quel momento il serpente si scosse e comincio a srotolarsi. Lentamente, molto lentamente, il serpente scivolo dal corpo di Dora e strisce via attraverso l’ingresso della grotta.
Appena il serpente fu all’aperto, l’uccello Kookaburra si tuffò, lo acchiappò con il becco poderoso e lo sollevo dal suolo. Malgrado si contorcesse e sibilasse di rabbia, il serpente non potè liberarsi. Il Kookaburra e se lo portò nel folto dell’albero. Whack, whack, whack! Tre volte il grosso becco lo sbatte contro l’albero… e il serpente penzolò dal ramo, morto stecchito. «Ah, ah, ah! avete visto questa! Eh, eh, eh! Che ridere!» Dora tremava di paura. Quando il Canguro ritornò sgridò il Kookaburra per aver lasciato entrare il serpente nella grotta, e porta Dora lontano dalla vista del serpente ucciso. Poi svuotò la sua tasca che conteneva un pasto di germogli e bacche dal sapore squisito. «Grazie davvero, sei molto gentile» disse Dora, «ma ora vorrei trovare la strada di casa.» «Beh, io ho chiesto a tutti quelli che ho incontrato», disse il Canguro
piegando il capo da una parte, «e tutti sono d’accordo nel dire che c’è solo una persona che può sapere dov’é.» «Oh, e chi 6?» «Beh, tutti dicono che dovremmo chiederlo a Platypus.» «E tu credi che lo saprà?» «SI, credo proprio di sì.» E cosi Dora e il Canguro si misero in cammino per andare a trovare il saggio Platypus.