I Raccontastorie – Fascicolo 9
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« Addio Kookaburra» salutò Dora avviandosi con Mamma Canguro in cerca di Platypus che, a detta di tutti gli animali, avrebbe potuto aiutarla a trovare la strada di casa. «Io non ho mai visto Platypus», disse Dora mentre attraversavano un profondo burrone. «Che aspetto ha?» «Oh, è in gamba sai», rispose il Canguro, «ma è una creatura così bizzarra! Gli ‘ animali dicono che è un uccello e gli uccelli dicono che è un animale… o un pesce. Tutti lo lasciano in pace tranne gli Umani, che continuano a scrivere libri su di lui.» Dopo un bel po’ giunsero a una pozza ombrosa. Il Canguro saltò fino all’orlo dell’acqua emettendo dei curiosi grugniti e presto Dora vide qualcosa di nero affiorare dall’acqua. Era il becco del più strano essere mai visto: piccolo e peloso, ma con le zampe palmate come un’anitra! Il Canguro tolse con una leccata un granello di polvere dalla fronte di Dora e sussurrò: «Ti prego, fai molta attenzione a come gli parli.» «Io sono l’Ornithorhyncus Paradoxus», disse Platypus a Dora con sussiego.
«Vuoi scrivere anche tu un libro su di me? Ah, voi Umani! Venite qui, buttate per aria la mia casa e vi credete in diritto di scrivere libri su di me. Su di me, che ho antenati che risalgono a milioni di anni fa!» Dora cercò di spiegare qual era la vera ragione della sua visita, ma Platypus sembrava piuttosto annoiato. Alla fine Dora perse la pazienza. «Insomma, qualcuno deve pur conoscere la strada per tornare a casa mia!» «Naturalmente», rispose Platypus sbadigliando. «Devi solo chiederlo alla Cutrettola.» «Oh, grazie!» esclamò Dora. «Come sei intelligente, Platypus!» «Ti ho già detto che il mio nome è Ornithorhyncus Paradoxus!» E risprofondò nella pozza. «Dunque dobbiamo cercare Guglielmo la Cutrettola!» disse il Canguro. «Salta dentro e mettiamoci in cammino.» Passarono il giorno a setacciare la macchia. Ma anche se molti animali lo avevano visto e avevano udito il suo chiacchiericcio, era sempre volato via prima dell’arrivo del Canguro. Giunta la sera, si rinfrescarono a una pozza e il Canguro trovò un comodo rifugio per la notte. Dora, sdraiata vicino al Canguro, pensava accorata ai suoi genitori che, non sapendo quanta cura avevano di lei i suoi amici animali, erano certo molto in pena. A un tratto aprì gli occhi. La luna era alta nel cielo e il Canguro stava annusando l’aria. Si sentiva in lontananza un sordo rumore di tamburi. «Che cos’è?» chiese. «Aborigeni» sussurrò il Canguro. «Dobbiamo andarcene subito.»
«Non ci faranno mica del male, no?» chiese Dora che desiderava tanto vedere un viso umano. «Mi piacerebbe moltissimo vederli danzare.» «Se ci vedono ci aizzeranno contro i cani e ci uccideranno» replicò il Canguro. «Ma se proprio vuoi vederli.., allora seguimi e cerca di non fare il minimo rumore.»
Saltarono fra i cespugli avvicinandosi sempre più. Dentro il marsupio, Dora sentiva che la sua amica stava tremando. Dopo un po’ arrivarono a una radura dove degli uomini con i corpi dipinti di rosso e di bianco stavano ballando. Altri, accovacciati al suolo, facevano risuonare le lance contro i boomerang e battevano le mani. E tutti insieme cantavano una strana canzone lamentosa, mentre la luce dei falò illuminava i loro volti con paurosi bagliori rossastri. «Ho paura!» bisbigliò Dora. «Gli umani bianchi non sono così.»
«Tutti gli Umani sono uguali, sotto sotto» disse il Canguro. «Tutti uccidono gli animali. Guarda: quella è una danza che mima l’uccisione dei canguri. Uno dei ballerini fa finta di essere un canguro e gli altri fanno finta di dargli la caccia.» Dora rabbrividì e sussurrò: «Vorrei non essere Umana.» L’animale la rincuorò gentilmente. «Però ci sono alcuni Umani che sono buoni», disse. «Se non userai mai stivali di pelle di canguro e se non mangerai mai, mai brodo di canguro, tu sarai uno di quelli.»
«Oh, ti giuro che non lo farò!» promise Dora. Erano così infervorati nel loro discorso che dimenticarono di fare attenzione ai cani degli indigeni: i cani dingo, che si aggiravano nell’accampamento e che all’improvviso annusarono l’odore del Canguro e abbaiarono. Il canto cessò e tutti cominciarono a gridare. Il Canguro afferrò Dora e cominciò a fare dei balzi enormi. Sembrava che volasse nella notte. Ma i cani ringhiosi e gli Aborigeni urlanti erano alle loro calcagna. La povera Dora era terrorizzata. La luna brillava e i cacciatori potevano vedere facilmente il Canguro in fuga. «Mamma Canguro!» gridò Dora. «Mettimi giù! Potrai fuggire più veloce senza il mio peso!» «No, mai più!» ansimò il coraggioso animale. «È così che ho perso il mio piccolo cangurino!» Di botto si fermò. Erano arrivati al bordo di una roccia davanti alla quale si apriva una gola scura e profonda, un baratro nella terra. Dora vide che i cacciatori erano ancora lontani, ma un cane si stava
avvicinando pericolosamente, con i denti aguzzi che scintillavano alla luce della luna. Il Canguro sfilò velocemente Dora dal suo marsupio e balzò in avanti per fronteggiare il cane. Stava lì, dritto in piedi con le sue piccole braccia allargate. Con un ringhio terribile il cane si avventò alla gola del Canguro, che lo afferrò con le sue due manine nere, gli dette un calcio con una delle zampe posteriori e il cane stramazzò a terra. Intanto i cacciatori si avvicinavano. L’unica possibilità di salvezza era saltare il baratro. Il Canguro raccolse Dora, la rimise nel marsupio e si avvicinò allo spaventoso abisso. Ancora Dora gridò: «Mamma Canguro, lasciami qui e salvati!» Ma l’unica cosa che udì in risposta fu il sibilare del vento mentre compivano il grande balzo. Dora trattenne il fiato mentre volavano nell’aria…
Ecco, avevano raggiunto l’altra sponda! Ma no, il Canguro stava scivolando nel burrone! Lottò con tutte le forze per trovare un appiglio, lo trovò, riuscì a risalire e… piombò esausto a terra. In un baleno Dora saltò fuori dalla tasca e mise le sue braccia intorno al collo dell’animale. «Ti prego, non morire, Mamma Canguro! Ti prego, non morire!» gridò, affondando il viso nella morbida pelliccia grigia. Ma il Canguro non si muoveva e rantolava. D’improvviso udì una voce aspra dietro di lei. «Che aspetti? Perché non dai un po’ d’acqua al tuo amico Canguro? Come siete stupidi, voi Umani!» Dora si girò e vide un piccolo uccello marrone con delle lunghe zampe. «Ma non ce n’è acqua, qui.» «Che scema!» sghignazzò il Tarabuso. «Ma se è sotto di te. Forza, fai un buco nell’erba!» Dora affondò le mani nell’erba e nel muschio e fece un buco. Ed ecco zampillare un getto di acqua chiara. La raccolse nelle mani e la versò sulla lingua secca del Canguro e sulla sua pelliccia arruffata. Con sua grande gioia, gli occhi marroni si aprirono, e Dora capì che la sua cara amica non sarebbe morta. «Grazie per avermi indicato dov’era l’acqua», disse al Tarabuso. Ma anche se l’uccello fu lusingato da queste gentili parole, non lo dette a vedere e fece un versaccio. Dopo essersi allontanato di qualche passo si girò. «Ehi, ma non ci vedi? C’è una grotta asciutta sotto quell’albero della gomma dove un Canguro e una piccola, stupida Umana potrebbero benissimo riposarsi!» «Grazie, grazie!» esclamò Dora aiutando il Canguro a rizzarsi sulle zampe. Ma che fortuna aver trovato tanti buoni amici nella macchia! E presto avrebbe incontrato Guglielmo la Cutrettola che l’avrebbe aiutata a trovare la strada di casa. «Quando diventerò grande» pensò, «non permetterò a nessuno di fare del male ai miei amici della, macchia.»
(Dora ritroverà la strada di casa? Lo saprai nel prossimo numero)