Un canto di Natale

Un canto di Natale

I Raccontastorie – Le più belle storie di Natale 1984

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      11 Un Canto di Natale
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Jacob Marley era morto – morto stecchito – e a nessuno importava molto, neppure al suo socio Ebenezer Scrooge. L’unica cosa che preoccupava Scrooge era la spesa del funerale. Scrooge era un vecchio peccatore avaro, attaccabrighe, arraffone, ecco quello che era! La meschinità rendeva rossi i suoi occhi e livide le sue labbra sottili. Nessuno lo fermava mai per la strada per chiedergli: «Caro Scrooge,
come va? Quando vieni a trovarmi?» Ma a Scrooge non importava niente. Stava seduto tutto il giorno nel suo ufficio a contare il suo denaro. «Ah, ah!» diceva fra sé, «ora che Marley è morto è tutto mio!» Questo accadeva in una fredda vigilia di Natale. Il suo impiegato, Bob Cratchit — un ometto magro, sempre , avvolto in una lunga sciarpa logora —stava appollaiato su un alto sgabello. Nella stufa bruciava un unico, misero pezzo di carbone.

Si sentì bussare alla porta e una gaia vocina cantò: «Dio vi benedica, signori, la vostra vita sia rose e fiori…» «Pussa via!» ringhiò Scrooge così ferocemente che il piccolo cantore scappò via come il vento. Bob Cratchit sospirò: «Ah, il Natale! Che benedizione!» «Un’altra parola, Bob Cratchit, e perderai il posto!» sbottò Scrooge. «Natale? Sono solo sciocchezze! Per caso tu ti aspetti una giornata di vacanza domani?» «Se è possibile, signore,» disse Bob strofinandosi le mani gelate. «Non è possibile; perché mai dovrei pagarti una giornata senza che tu lavori? Eh? Natale! Bah! Sciocchezze! Solo sciocchezze!» Il vecchio Scrooge chiuse a chiave l’ufficio. Bob Cratchit corse a casa da sua moglie e dai suoi bambini. E tornò alle sue fredde stanze ‘ve viveva tutto solo. Alla luce di una candela guardò
dappertutto per controllare che non ci fossero dei ladri — no, nessuno sotto il tavolo, né sotto il sofà, né sotto il letto e nemmeno nel guardaroba, e neppure sotto la sua vestaglia appesa alla porta. Si mise la camicia da notte e si sedette vicino al fuoco languente a mangiare una scodella di zuppa d’avena. Mentre mangiava, il cordone del campanello che stava dietro la sua seggiola cominciò a ondeggiare. Il campanello suonò — dapprima piano, poi sempre più forte. Dopo un po’ tutti i campanelli della casa trillavano. Scrooge fece cadere il cucchiaio.’ All’ improvviso i campanelli smisero di suonare e si udì un altro rumore, come se qualcuno trascinasse delle catene su per le scale.

Qualcuno che si avvicinò proprio alla sua porta. Attraversò la porta chiusa ed entrò nella stanza. Era Jacob Marley! Il suo corpo era trasparente. La catena cigolante che lo avvolgeva era fatta di cassette di sicurezza, di chiavi e di lucchetti. «E allora, Scrooge!» Scrooge si sentì invadere da un gelo mortale. «Cosa vuoi da me, Jaco Perché… perché sei incatenato?» Il fantasma di Marley emise un grido orribile e scosse le catene. «Po le catene che mi sono forgiato da solo durante la mia vita. Queste sono le cose che mi importavano: denaro,
denaro e ancora denaro. Oh, Ebenezer, se tu vedessi le catene che aspettano te! Erano lunghe come queste sette anni fa, e continuano ad allungarsi.» Scrooge guardava terrorizzato il fantasma. «Sono venuto ad avvisarti, Ebenezer. Sarai perseguitato… perseguitato da tre spiriti.» Scrooge tentò di dire «Sciocchezze», ma non poté. Il fantasma uscì dalla finestra e sparì nella fosca notte buia. Scrooge andò subito a dormire, ma prima di poter prendere sonno si rigirò a lungo nel letto. Venne svegliato dall’orologio. Scoccava lugubre e desolata l’una di notte. Le luci si accesero nella stanza e le cortine del suo letto vennero tirate bruscamente. Scrooge si alzò di colpo a sedere e si trovò faccia a faccia con un fantasma. «Sono il Fantasma dei Natali Passati,» sentenziò la figulia, «del tuo passato, Ebene Scrooge. Alzati e vieni con me.» E il Fantasma afferrò^ una mano di Scrooge.

Traversarono insieme i muri della camera da letto e si trovarono di colpo nella strada di un villaggio. «Santo cielo!» gridò Scrooge. «Ma io questo posto lo conosco, ci ho vissuto da bambino!» Un nugolo di bambini felici stava giocando sulla neve gridando: «Buon Natale!» Ma quando Scrooge gettò un’occhiata attraverso la finestra della scuola, vide un ragazzetto che stava li seduto tutto solo a leggere un libro. «Nessuno lo ama,» spiegò il Fantasma, «nessuno vuole giocare con lui perché lui non desidera altro dalla vita che accumulare una grossa fortuna.» «Quel ragazzo sono io,» disse Scrooge in lacrime. «Sono io quando avevo nove anni.» All’improvviso non erano nel villaggio, ma dentro una misera casetta. «Anche qui ci sono già stato, sospirò Scrooge, «e quella ragazza sul sofà — vedi Fantas Vedi come è bella? Dovevo
sposarla, un tempo; si chiama Clara.» La giovane non poteva vedere né Scrooge né il Fantasma. Accecata dalle lacrime stava rileggendo una lettera. Scrooge guardò al di sopra della sua spalla. «… Perché, vedi, c’è qualcosa che tu ami più di me, ed è il denaro. E così, caro Ebenezer, spero che tu ti ricordi di me quando sarai diventato ricco —addio — la tua amata Clara.»

«Portami a casa, Fantasma!» supplicò Scrooge. «Non lo posso sopportare! Non posso cambiare il passato!» Appena ebbe pronunciato queste parole Scrooge si trovò di nuovo nella sua camera da letto. E dove prima c’era il Fantasma ora tremolava una candela. Scrooge era esausto. Gli ci volle tutta la sua forza per spegnere la candela prima di crollare nel letto e addormentarsi. Svegliandosi ad un tratto udì nuovamente la pendola che suonava l’una di notte. Vide una luce filtrare da sotto la porta e udì una voce che lo chiamava: «Vieni, vieni Scrooge!» Nell’altra stanza Scrooge trovò il più allegro dei fantasmi con una veste verde bordata di pelliccia e con una corona di agrifoglio in testa. «Sono lo Spirito del Regalo di Natale. Tocca la mia veste!» I muri della stanza e la notte
circostante svanirono e si trovarono nelle strade innevate la mattina di Natale. Tutte le campane delle chiese suonavano e la gente vestita a festa sciamava fuori dalle case, salutandosi e augurandosi «Buon Natale». Il Fantasma portò Scrooge alla casa di Bob Cratchit, dove si stava cucinando il pranzo di Natale. C’era una teglia di patate e una piccola anatra ossuta. Quando Bob arrivò a casa portava sulle spalle suo figlio Tim il Mingherlino. «Oh, Fantasma!» sussurrò Scrooge, «quel ragazzo è paralitico!» «La famiglia è molto povera,» replicò il Fantasma, «Tim non ha abbastanza da mangiare, presto morirà e il cuore di Bob Cratchit si spezzerà dal dolore.» Ma nessuno dei componenti

la famiglia Cratchit si lamentò per lo scarso cibo. Bob alzò il bicchiere per fare un brindisi. «Alla salute di Ebenezer Scrooge, perché con i soldi che mi dà ci possiamo permettere questo pasto.» «Alla salute!» gridò Tim. Ma la signora Cratchit non alzò il suo bicchiere. «Io mi rifiuto di bere alla salute di quell’uomo freddo, spilorcio e duro!» Scrooge chinò la testa e pregò lo Spirito. «Portami a casa, ti prego, portami a casa.» Ma il Fantasma era sparito. Un orologio da qualche parte suonava l’una e Scrooge vide un fantasma incappucciato che si muoveva come in una nebbia verso di lui. Il mantello lo copriva tutto, tranne una mano tesa e accusatrice. «Tu sei lo Spirito del Natale Futuro,» disse Scrooge. «Io ti temo!» Lo Spirito non rispose, ma indicò degli uomini che Scrooge conosceva. Stavano ridendo e parlando. «Quando è morto?» chiese uno di loro. «Non l’avrei mai pensato,» disse un altro.
«E che ha fatò del suo denaro?» aggiunse un terzo. «Non lo so! Sarà un ben misero funerale, perché nessuno ci vuole andare! Ah, ah, ah!» Scrooge tirò la manica del Fantasma. «Di chi stanno parlando? È terribile parlare in quel modo di un uomo morto.» Invece di rispondere, il Fantasma indicò il cimitero e Scrooge strisciò tremando fino a una tomba fresca. La misera pietra tombale recava solo due parole incise: EBENEZER SCROOGE «Oh, Fantasma! Oh no, no» esclamò Scrooge. «Cambierò! Sì, cambierò! Cambierò!» Afferrò quella spaventosa mano tesa, la strinse anche se era dura, fredda e legnosa come… come la colonna di un letto.

Scrooge si svegliò con le mani strette intorno alla colonna di legno del suo letto. La colonna era reale. La stanza era la sua. E… infine, lui non era morto! «Non so proprio cosa fare,» disse fra sé ridendo e piangendo allo stesso tempo. «Non so nemmeno che giorno è.oggi.» Corse alla finestra, l’aprì e chiese a un ragazzo che passava: «Che giorno è oggi?» «Ma è Natale, naturalmente!» «Natale! Allora sono ancora in tempo!» gracchiò Scrooge. «Ehi, ragazzo, conosci il macellaio là sull’angolo? L’hanno venduto quell’enorme tacchino che avevano in vetrina?» «Quale, signore? Quello grande come me? No signore, è sempre lì appeso.» «Bene, allora corri a comprarlo e portalo subito a casa di Bob Cratchit. Prendi una carrozza. Ma mi raccomando non dire chi l’ha mandato. Se fai presto riceverai mezza corona!» Poi si vestì con i suoi abiti migliori e scese in strada augurando a tutti: «Buon Natale!» E quando incontrava qualcuno che gli doveva del
denaro diceva: «Non si preoccupi per quelle venti sterline, non ho bisogno del denaro; tutto cancellato e… Buon Natale!» Andò a casa di suo nipote, si fece invitare a pranzo e passò il Natale più felice e sereno di tutta la sua vita.

Ma il giorno dopo, presto, era già nel suo ufficio. Voleva essere là prima di Bob Cratchit. E infatti l’impiegato arrivò due minuti dopo. «Ma come osi arrivare a quest’ora della mattina!» brontolò. «Sono dolente, signore,» si scusò Bob, terrorizzato all’idea di perdere il posto. «Ho passato un Natale così bello ieri… è successa una cosa così stupefacente… prometto che non succederà più, signore.» «Prometto anch’io che non capiterà più,» disse Scrooge, «non sopporterò più questo stato di cose, infatti…» si alzò e diede a Bob una botta nelle costole da farlo quasi cadere, «da oggi ti aumento lo stipendio e accorcio le ore di lavoro! Buon Natale, Bob! Attizza il fuoco e poi vieni nel mio ufficio. Voglio che tu mi dica in che modo posso aiutare la tua splendida famiglia.» Così Tim non morì e i fantasmi non visitarono più Scrooge nel cuore della notte. Infatti da allora si disse di lui che sapeva festeggiare il Natale meglio di chiunque altro.
E come esclamò Tim quando vide arrivare il tacchino in carrozza quella mattina di Natale, «che Dio ci benedica!»